Vladimir e Volodymyr, il difficile negoziato a distanza tra due leader molto differenti e non solo per ragioni generazionali. Putin sa che prolungare una guerra che la Russia non riesce a vincere è insostenibile, Zelensky comprende che la sofferenza per il suo popolo sta divenendo insopportabile. Una mediazione è nell’interesse di entrambi, ma il difficile è trovare un punto a metà strada: Putin non può dire ai russi che ha mandato i suoi soldati a morire senza avere ottenuto risultati, Zelensky deve dare un significato alla resistenza degli ucraini. I mediatori in questa fase sono quanto mai differenti tra loro: da una parte l’oligarca Abramovich, vittima, si dice, anche di un tentativo di un misterioso avvelenamento; dall’altra il vero regista della trattativa, non a caso condotta a Istanbul, il presidente turco Erdogan.
Putin: adesso fa parlare i suoi e guarda a Pechino
Parlano per Putin i suoi collaboratori. E dicono che il capo supremo del Cremlino potrà incontrare il presidente ucraino Zelensky, solo quando i negoziatori avranno scritto l’accordo. A decidere è Putin, ma apparirà solo per la firma. Non può “scendere” al livello dell’uomo che avrebbe voluto scalzare dal potere a Kiev e portare davanti a un tribunale come “nazista”. Il suo obiettivo è poter dire alla propria opinione pubblica di avere vinto, e che la morte di migliaia di soldati russi non è stata inutile. Deve incassare la neutralità dell’Ucraina perché non entri nella Nato e non ospiti basi straniere, e l’avallo all’annessione russa della Crimea, più concessioni territoriali nel Donbass. Putin deve poi non irritare la Cina, che non ha interesse a una instabilità perniciosa per i commerci globali e il progetto della Via della Seta, l’iper-connettività planetaria. E deve recuperare il ruolo internazionale di Mosca a dispetto della “guerra sporca” in Ucraina. Il problema di Putin è salvare la faccia e disinnescare nel Palazzo qualsiasi tentazione di abbatterlo.
Zelensky: è rimasto al suo posto e per questo ha già vinto
Il presidente ucraino ha già vinto nel momento in cui ha deciso di restare al suo posto e dare l’esempio ai soldati, ai sindaci, a un popolo intero che ha scoperto di avere non un ex comico e attore nel bunker presidenziale, ma un autentico leader. Zelensky è anche debole, perché i suoi concittadini muoiono ogni giorno. E in quattro milioni sono fuggiti all’estero.
Abramovich, il punto di contatto tra i leader in guerra
Al tavolo dei negoziati, Roman Abramovich non siede per non prendere una parte, da vero mediatore, tanto che ieri è apparso al fianco di Erdogan. Ma è vicino sia a Putin, sia a Zelensky, se è vero che il primo ha dato il via libera ai buoni uffici dell’oligarca e se il secondo (ebreo come lui) ha chiesto agli americani di escluderlo dalle sanzioni. Qual è l’interesse del magnate, che stando a ricostruzioni spionistiche avrebbe anche subìto un avvertimento al veleno con tanto di occhi rossi e pelle squamata, insieme a due mediatori di Kiev? Forse le origini ucraine dei nonni materni, ancor più la promessa fatta alla fidanzata, ucraina pure lei, e certo la difesa dei propri interessi economici.
Erdogan: equidistante, è il vero motore dei negoziati
La leadership di Erdogan e la forza del Paese che governa, una potenza regionale che è pilastro della Nato e insieme soggetto autonomo di una sempre più influente politica estera, dal Sahel al Medio Oriente. È ciò che fa del presidente turco il motore naturale della mediazione tra Putin e Zelensky. Due le scelte decisive: non mettere le sanzioni alla Russia, preservando i rapporti col Paese da cui importa gas e, seconda, chiudere il Mar Nero alle navi da guerra in quanto gestore dei Trattati internazionali. Erdogan ha interesse a uscire dalla crisi come deus ex machina e regista della pace, anche per mettere a tacere le polemiche sull’interventismo in Siria e Libia.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 30 Marzo 2022, 00:10
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