Migranti e Wagner, un doppio esercito in Libia per arginare i miliziani di Putin

Il piano a cui stanno lavorando (anche) gli italiani: armata unica tra Tripoli e Haftar

Migranti e Wagner, un doppio esercito in Libia per arginare i miliziani di Putin

di Francesco Bechis e Cristiana Mangani

Un esercito unico per presidiare il confine Sud della Libia. Sotto l’egida del Governo di unità nazionale di Tripoli e dell’autoproclamato Esercito nazionale libico. Con una doppia missione: bloccare i traffici illegali dei migranti dal Sahel e contrastare i mercenari russi della Wagner. Ecco il piano che nei giorni scorsi è riaffiorato in un round di incontri diplomatici sulla crisi libica. E piace al governo Meloni. 

Meloni: «Calunnie su Cutro, non lasciamo morire i bimbi». E a Bonelli: «Non sono Mosè». Scontro con Conte, leghisti assenti

IL PIANO

Mentre il processo di riunificazione politica della Libia arranca fra veti, ricatti incrociati e la difficoltà di arrivare a elezioni, qualcosa inizia a muoversi sul fronte militare. Ad abbozzare il disegno di una forza di intervento rapido da schierare nelle regioni del Sud - sotto il controllo dei Capi di Stato maggiore di Tripoli e Bengasi, i generali Mohamed Al Haddad e Abdelrazek al Nadori - è stato il Comitato militare libico congiunto riunito la scorsa settimana a Tunisi nel formato 5+5. Riunioni cui hanno preso parte diplomatici italiani insieme all’inviato dell’Onu in Libia Abdoulaye Bathily. Nel dettaglio, ha anticipato Agenzia Nova, la forza militare congiunta potrebbe assumere la forma di tre battaglioni in rappresentanza di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. È un vecchio progetto, in realtà. Già evocato nell’articolo 19 del “Trattato di amicizia” siglato all’epoca dal governo Berlusconi con Gheddafi. 

L’idea ha però ripreso a prendere forma nei colloqui dei giorni scorsi. È stata poi esposta alla sottosegretaria di Stato americana per il Vicino oriente Barbara Leaf, in visita a Tripoli e a Tunisi. Con dubbi annessi. Un esercito del genere andrebbe equipaggiato. E un embargo Onu sulle armi alla Libia impedisce per ora agli Stati europei di farlo, servirebbe una deroga. Senza contare i rischi di una simile operazione, dai possibili scontri tra i battaglioni dell’Est e dell’Ovest alla perdita di equipaggiamento militare hi-tech, alla mercé dei terroristi. Per gli Stati Uniti, comunque, la priorità ha un solo nome: Wagner.

Lo ha chiarito Leaf in un faccia a faccia con Khalifa Haftar: i mercenari di Prigozhin devono lasciare la Cirenaica. L’anziano feldmaresciallo ha rilanciato: senza l’ombrello russo, vuole garanzie militari alternative contro eventuali attacchi del governo tripolino e i suoi sponsor (Turchia in testa). L’Italia da parte sua ha manifestato interesse al piano di una missione congiunta. Del resto, un esercito per blindare il fianco Sud del Paese africano dirimpettaio aiuterebbe a chiudere uno dei principali rubinetti dei traffici migratori che dal Sahel puntano alle coste italiane. 

LO STALLO TUNISINO

L’altro rubinetto si chiama Tunisia. Ed è di gran lunga il più preoccupante per Roma. Ancora ieri, alla vigilia del Consiglio europeo, la premier Giorgia Meloni ha seguito da vicino le trattative per sbloccare il prestito da 1,9 miliardi del Fondo monetario internazionale al governo di Kais Saied, sull’orlo della bancarotta. Ma i segnali non sono incoraggianti. Gli Stati Uniti non si fidano di Saied, sono irritati dalla sua ostilità al piano di riforme chiesto dal Fmi e dalla sua continua asta al rialzo: vorrebbe un ricco accordo con l’Ue per gestire i flussi migratori, sulla falsariga di quello turco. Dietro le quinte Saied ha intanto aperto a una firma dell’accordo del Fondo derogandola però al suo primo ministro Najla Bouden Romdhane. Uno scarico di responsabilità che a Washington hanno prontamente rigettato. Anche le parole pronunciate ieri dal segretario di Stato Antony Blinken, «li incoraggiamo a firmare l’accordo perché l’economia tunisina rischia una caduta rovinosa», sono state lette con rassegnazione dal governo italiano. Un ultimatum, più che un’apertura. 

Le vie alternative sono poche e accidentate. I Paesi del Golfo corteggiati dal Fmi per aprire una linea di credito aggiuntiva per Tunisi - è il caso del Qatar - hanno fatto marcia indietro. Resta solo il pronto-soccorso della vicina Algeria, dove sarà presto in visita il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Il governo algerino ha già inviato a Tunisi 300 milioni di euro ed è pronto a offrire una garanzia da 500 milioni per il prestito Fmi. Non abbastanza però per sbloccare i fondi di Washington DC e scongiurare il default.
 


Ultimo aggiornamento: Giovedì 23 Marzo 2023, 06:52
© RIPRODUZIONE RISERVATA