Iran, Christiane Amanpour non indossa il velo per intervistare Raisi: annullato servizio televisivo CNN

In Iran intanto sono scoppiate le proteste contro la polizia morale

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No velo? No intervista. Dopo il rifiuto del presidente iraniano, Ebrahim Raisi, a fare un'intervista con Christiane Amanpour perché non indossava il velo, la popolare giornalista della Cnn ha pubblicato sul suo account Twitter la foto della sedia vuota nel luogo in cui si sarebbe dovuto tenere il colloquio, a margine dell'Assemblea generale dell'Onu a New York.

«E così ce ne siamo andati. L'intervista non c'è stata. Con le proteste che continuano in Iran e le persone che vengono uccise, sarebbe stato un momento importante per parlare con il presidente Raisi», ha scritto l'anchor di origine iraniana. 

Mahsa Amini, 5 morti nelle proteste per la 22enne picchiata a morte dalla polizia in Iran perché una ciocca di capelli era sfuggita al velo

Ebrahim Raisi ha rifiutato all'ultimo minuto un'intervista con la Cnn. «Credo - ha spiegato la reporter - che non voglia essere visto con una donna senza velo nel momento in cui nel suo Paese infuriano le proteste» per la morte di Mahsa Amini, la 22enne deceduta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale a Teheran perché non indossava correttamente il velo. 

E per sedare quelle proteste (scoppiate in almeno 15 città) è stata inviata la polizia nelle strade.

Sono stati segnalati blackout di internet in alcune parti del Paese, mentre sono stati bloccati anche gli account Instagram con indirizzi IP iraniani. Il ministro delle telecomunicazioni, Issa Zarepour, è stato citato dall'agenzia di stampa ufficiale Irna per dire che ci sono state alcune «restrizioni temporanee in alcuni luoghi e in alcune ore». I media statali hanno riferito che la polizia ha usato gas lacrimogeni e ha effettuato arresti per disperdere la folla, composta da un massimo di 1.000 persone, martedì sera. L'Irna ha affermato che i manifestanti hanno lanciato pietre contro le forze di sicurezza e dato fuoco ai veicoli della polizia. 

 

Iran, cos'è e cosa fa la polizia morale

La Repubblica islamica dell'Iran prevede un codice di abbiglimento molto rigido per le donne.

Le Gasht-e Ershad (pattuglie di guida) sono unità speciali di polizia incaricate di garantire il rispetto della morale islamica e di arrestare le persone che vengono percepite come vestite in modo "improprio".

Secondo la legge iraniana, che si basa sull'interpretazione della Sharia, le donne sono obbligate a coprirsi i capelli con l'hijab (velo) e a indossare abiti lunghi e larghi per non far emergere la propria figura.

Masha Amini aveva presumibilmente alcuni capelli visibili sotto il velo quando è stata arrestata dalla polizia morale a Teheran il 13 settembre. È entrata in coma poco dopo essere collassata in un centro di detenzione ed è morta tre giorni dopo in ospedale. 

In una rara intervista, un ufficiale della polizia morale ha parlato alla BBC, in forma anonima, della sua esperienza. «Ci hanno detto che il motivo per cui lavoriamo per le unità di polizia morale è proteggere le donne», ha detto. «Perché se non si vestono bene, gli uomini potrebbero provocarle e far loro del male». Ha detto che hanno lavorato in squadre di sei, composte da quattro uomini e due donne, e si sono concentrati sulle aree ad alto traffico pedonale e dove si raduna la folla.

«È come se andassimo a caccia», ha detto.


La lotta delle autorità iraniane contro il velo indossato male è iniziata subito dopo la Rivoluzione islamica del 1979.

Sebbene molte donne lo facessero all'epoca, minigonne e capelli scoperti non erano una vista rara per le strade di Teheran prima che lo scià filo-occidentale Mohammad Reza Pahlavi fosse rovesciato. Sua moglie Farah, che spesso indossava abiti occidentali, era considerata un esempio di donna moderna.

A pochi mesi dalla fondazione della Repubblica islamica, le leggi che proteggevano i diritti delle donne stabilite sotto lo scià hanno iniziato a essere abrogate. «Non è successo da un giorno all'altro, è stato un processo graduale», ha detto Mehrangiz Kar, 78 anni, avvocato e attivista per i diritti umani che ha contribuito a organizzare la prima protesta anti-hijab. «Subito dopo la rivoluzione c'erano uomini e donne per le strade che offrivano gratuitamente foulard alle donne avvolti in carta regalo».

Il 7 marzo 1979, il leader della rivoluzione, l'ayatollah Ruhollah Khomeini, decretò che l'hijab sarebbe stato obbligatorio per tutte le donne sul posto di lavoro e che considerava le donne scoperte "nude".

Le donne risposero con una protesta. Più di 100.000 persone, per lo più donne, si radunarono per le strade di Teheran il giorno seguente, la Giornata internazionale della donna. 


Ultimo aggiornamento: Giovedì 22 Settembre 2022, 16:19
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