George Floyd, Ian Bremmer: «La rabbia dei neri covava da mesi la crisi per il virus l'ha fatta esplodere»

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di Flavio Pompetti
La protesta dei neri americani è di nuovo esplosiva, e Trump è pronto ad usarla a fini elettorali. Il commentatore politico Ian Bremmer ci aiuta a decifrare i tanti messaggi che arrivano dalle città statunitensi in fiamme.

Perché proprio ora, dopo anni di apparente silenzio del movimento Black Lives Matter?
«I video che ritraggono la morte di George Floyd hanno una forza innegabile. Ma la rabbia dei neri covava da mesi durante il regime di lockdown, perché l'isolamento sociale e la perdita dell'occupazione hanno gravato in misura maggiore sulle comunità più povere, e loro sono in prima linea anche sul fronte dei decessi. L'omicidio a Minneapolis è stata la scintilla che l'ha fatta scoppiare».

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A cinque anni di distanza da Fergusson l'oppressione dei neri è cresciuta o diminuita negli Usa?
«Negli ultimi cinque anni la condizione dei poveri e in particolare dei neri poveri, è peggiorata negli Usa come nel resto del mondo. E' questo un profondo problema strutturale che conoscete bene anche in Italia. Ha a che vedere con la mancanza di investimenti nelle infrastrutture e nell'istruzione, con l'incarcerazione su larga scala della comunità. Misurata su questi parametri, la comunità degli afro americani è quella che soffre di più in termini di mancanza di servizi sociali e qualità delle cure mediche».
 


La politica di Trump ha aggravato la tensione?
«Nulla è stato fatto per correggere l'oppressione di polizia nei confronti dei neri, o per migliorare le loro condizioni di vita. Nel frattempo la classe dei bianchi poveri ha sofferto un parallelo deterioramento economico e sociale che ha favorito un clima di opposizione crescente tra i due gruppi. La differenza è che i bianchi poveri si sentono maggiormente rappresentati dalla retorica presidenziale, e la rabbia della popolazione di colore è cresciuta anche per questo. Dal punto di vista delle dinamiche sociali il mandato di Trump è stato caratterizzato da due fenomeni: il Me Too e il Black Lives Matter. Non è un caso che il primo abbia prodotto cambiamenti sostanziali per le donne, mentre il secondo è rimasto lettera morta».

I conservatori dicono che la divisione tra i due gruppi è cresciuta anche negli anni di Obama. Lei è d'accordo?
«Certo, anche se mi sembra che sia cresciuta non per effetto della sua gestione del potere, ma nonostante essa. Gli otto anni della sua presidenza sono stati il periodo nel quale la divisione tra ricchezza e povertà è cresciuta al ritmo più veloce della storia. Il libero scambio commerciale e la tecnologia hanno giocato un ruolo maggiore di ogni politico in tutto il mondo nell'esacerbare questa e altre linee di confine. Se Romney e Hillary Clinton si fossero trovati al posto di Obama, il risultato non sarebbe stato diverso».

Trump sta gettando benzina sul fuoco delle proteste. Che vantaggio può ricavarne?
«In una logica tutta elettorale, il voto degli elettori afro americani è totalmente fuori dalla sua portata. Trump sa che se il livello della violenza sale e durerà nel tempo, gli amministratori repubblicani degli stati ad alta densità di popolazione di colore avranno l'estro per limitare il numero dei seggi, e cercare di ridurre l'impatto del loro voto. E' un calcolo brutale, ma tale è la considerazione che il presidente mostra per questa porzione di elettori».

E' sorpreso dal quasi silenzio di Biden in questa vicenda?
«Biden non è il vero antagonista di Trump nel voto di novembre. Le elezioni saranno un referendum sul presidente in carica, e il candidato democratico resterà ai margini a registrare le variazioni della curva di popolarità del suo opponente. Finora non gli è andata male a vedere i sondaggi».
 
Ultimo aggiornamento: Domenica 31 Maggio 2020, 08:37
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