Trump spiazza i leader europei e vede più vicina la rielezione

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di Flavio Pompetti
Era un Donald Trump trionfante quello che abbiamo visto ieri nel salone della East Wing della Casa Bianca, annunciare la fine della escalation nei confronti dell'Iran. Gli occhi socchiusi come a puntare un bersaglio; il ventaglio di capi militari alle sue spalle a proiettare la forza dell'apparato militare che ha alle spalle. Nessuna domanda dei media; cinque minuti di comunicato, e poi l'uscita processionale dalla stanza. I quattro giorni più roventi della sua presidenza in quanto a minaccia bellica sono alle spalle, a meno di una recrudescenza da parte iraniana. Trump ha mirato molto in alto nel confronto che si è aperto sabato scorso con l'uccisione del generale Qassam Soleimani, capo delle forze speciali dei Quds ed eroe nazionale in Iran. Il presidente degli Usa ha autorizzato il compimento di una missione che diversi dei suoi predecessori avevano già inquadrato nel mirino, ma per la quale si erano sempre rifiutati di ordinare di premere il grilletto, nel timore che l'azione avrebbe aperto le porte di una guerra.

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I FRONTI
Sono stati invece gli iraniani a dover fare un dietro front sulla strada che poteva portare ad un conflitto. Se i missili di martedì notte avessero versato sangue statunitense, l'artiglieria americana avrebbe puntato direttamente sul territorio dell'Iran, con la forza di cui gli americani sono capaci. Il regime di Teheran non ha i mezzi per sostenere un tale confronto diretto. La sua forza è nel logoramento di lungo termine, con la speranza che i tanti conflitti locali in area mediorientale aprano spiragli per un'espansione, come quella che ha tentato negli ultimi anni nelle aree critiche della Siria, Iraq e Yemen.
Washington torna a scegliere la pressione economica piuttosto che quella militare, e decreta nuove sanzioni contro il regime con la speranza che la rabbia della folla nelle strade iraniane torni a indirizzarsi contro il governo degli ayatollah piuttosto che la bandiera e stelle e strisce. Trump ha trovato anche l'occasione per ribadire che l'accordo dei cinque più uno (Usa, Francia, Gran Bretagna, Cina Francia più la Germania) sul nucleare iraniano è morto, così come lui desiderava che accadesse già quattro anni fa, quando correva verso la Casa Bianca. Gli iraniani gli hanno dato una mano due giorni fa quando hanno detto che non si sentono più vincolati dai limiti di arricchimento dell'uranio che avevano concordato, e la voce dell'Europa è stata troppo flebile in difesa dell'accordo in questo momento di crisi.
Il presidente degli Usa cercherà ora di spingere la controparte iraniana ad un nuovo tavolo di trattative con misure più restrittive, vincoli di maggiore durata, e certificazioni più invasive per la sovranità del Paese. Il suo obiettivo finale è presentarsi alle elezioni di novembre con un accordo che porti la sua firma e rinneghi quella di Obama. Lo stesso antagonismo nei confronti del predecessore sta forse dietro al desiderio soddisfatto di aggiungere uno scalpo di peso al carnet dei nemici pubblici degli Usa che potrà esibire agli occhi degli elettori statunitensi. Se Obama aveva il vanto di aver ucciso Osama bin Laden, Trump può reclamare l'eliminazione di al Baghdadi e ora di Soleimani. La vittoria del presidente, all'apparenza indolore e ottenuta senza lo spargimento di una goccia di sangue patrio, ha comunque un prezzo.

LA SCINTILLA
Il presidente che aveva promesso di mettere la parola fine alle «tante guerre interminabili» iniziate dai suoi predecessori, ha spinto il teatro mediorientale su un filo sottilissimo del contenimento di una nuova guerra, con gli alleati dell'Iran in stato di allerta e pronti ad attaccare lungo un fronte ancora più esteso di quanto lo fosse una settimana fa. La scintilla potrebbe ancora innescarsi casualmente nelle prossime settimane tra il Libano e Israele, o in altre zone dell'Iraq, in Siria o nella penisola araba. Il risultato è che il numero di marines nella regione doveva essere abbattuto, è cresciuto di 15.000 unità. E il regime di Teheran che sanguina per la ferita di Soleimani, oltre che alle strette per il nuovo giro di sanzioni, avrà una maggiore difficoltà ad accettare l'umiliazione di riaprire il negoziato sul nucleare.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 9 Gennaio 2020, 11:52
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