Coronavirus, Inghilterra: con contagio 60% popolazione avremo "immunità di gregge". Johnson: «Moriranno molti cari»

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La Sial, la scuola italiana nella quiete di Holland Park, è da oggi chiusa: come accade ovunque in Italia, ma - per ora - non nel Regno Unito. A Londra è una goccia nel mare di 'business as usual' che continua a dominare largamente il panorama, in barba all'emergenza coronavirus, ai casi che aumentano anche oltre Manica. Salvo restrizioni al momento limitate o decise caso per caso. Una scommessa che genera sgomento e ansia in una città in cui i connazionali sono centinaia di migliaia, mentre montano i dubbi sulla strategia da piccoli passi e sui calcoli attendisti del governo Tory.

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Le ragioni illustrate dal premier Boris Johnson e dai suoi consiglieri scientifici sono di pubblico dominio: la diffusione del contagio è ormai inevitabile, molte famiglie devono prepararsi a piangere dei «morti fra i loro cari». E l'idea più «sensata» sarebbe quella di provare a teleguidare il tutto attraverso misure parziali e graduali, affinché il picco dell'epidemia arrivi un pò per volta, verso la stagione estiva calda, fino a toccare complessivamente il 60% della popolazione e favorire una cosiddetta «immunità di gregge» nelle parole del professor Patrick Vallance, accademico di riferimento a Downing Street: diluendo l'impatto sia sul sistema sanitario, azzoppato da anni di tagli, sia sull'economia in tempo di Brexit.

 


Un'analisi d'impronta pragmatica, che alcuni specialisti e una parte dei giornali sposano.
Ma che altri, inclusi l'ex ministro della Sanità Jeremy Hunt e non pochi medici, giudicano avventata, quando non cinica, parlando di risposte troppo lente «a quattro settimane» dalla prospettiva di uno scenario italiano anche sull'isola. Una bocciatura condivisa d'istinto da chi teme che Johnson stia colpevolmente ignorando l'esempio di casa nostra. Da noi, sostiene Michela, una giovane mamma sbarcata a Londra due anni fa, «di fronte ad un'emergenza sanitaria sono state prese misure adeguate. Com'è possibile che qui non siano state ancora chiuse le scuole?». Il precedente italiano ricorre come un inevitabile termine di paragone.

 
 


Chiara, avvocato nata a Macerata, è persino indignata dagli scarsi controlli. «Anche ieri è stato ribadito che i tamponi verranno fatti solo ai ricoverati». «La maestra di mio figlio è a casa da una settimana per una brutta influenza e le hanno rifiutato tre volte il test perché il protocollo non lo prevede», scuote la testa fuori dalla scuola elementare britannica che il suo bambino continua a frequentare: aperta come quasi tutte le altre dei dintorni. Decisamente in minoranza l'opinione di chi - come Gianni, dirigente di una banca d'affari - tende invece a fidarsi: «Diversamente che altrove, Johnson fin dal primo minuto si è fatto consigliare da due luminari in campo medico-scientifico (Chris Whitty e sir Patrick Vallance, ndr). L'emergenza non è stata minimizzata, l'invito è piuttosto a mantenere i nervi saldi senza cadere nel panico».

Difficile per chi ha parenti e amici in Italia e segue i notiziari come «bollettini di guerra», replica Lucio, che da due anni ha il passaporto britannico ma ora rimpiange la scelta d'essere rimasto a vivere nel Regno. «I miei genitori sono soli, anziani, e in questo momento non posso aiutarli. Mentre qui la vita scorre come nulla fosse, fra pub e ristoranti pieni e la metropolitana su cui si fa fatica a salire la mattina. Un'assurdità stridente».

Ultimo aggiornamento: Venerdì 13 Marzo 2020, 21:17
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