Coronavirus diretta, negli Usa 1.800 morti in 24 ore, in Cina 1 solo nuovo caso

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Gli Stati Uniti hanno riportato ieri oltre 1.800 in 24 ore a causa del nuovo coronavirus, un saldo in leggero calo rispetto ai giorni precedenti, secondo il conteggio della Johns Hopkins University continuamente aggiornato. Questi 1.883 decessi portano il bilancio totale dell'epidemia negli Stati Uniti a oltre 64.700 vittime. Ô il prezzo più pesante pagato da un Paese in valore assoluto, anche se proporzionalmente alla sua popolazione Belgio, Spagna, Italia, Regno Unito o Francia sono maggiormente colpiti.
Gli Stati Uniti hanno anche il maggior numero di persone con diagnosi di Covid-19, con oltre 1,1 milioni di casi registrati ufficialmente. Quasi 165.000 persone vengono dichiarate guarite. Per tre giorni, i bilanci americani delle 24 ore avevano ripreso a salire, con decessi giornalieri tra i 2.000 e i 2.500. I rapporti giornalieri negli Stati Uniti non sono scesi al di sotto dei 1.000 morti nell'ultimo mese. 

Un solo nuovo caso confermato di coronavirus è stato registrato in Cina nelle ultime 24 ore. Secondo le autorità sanitarie locali, si tratta di un caso 'importatò dall'estero, mentre altri due presunti contagi, sempre riguardanti persone arrivate dall'estero, devono ancora essere confermati. Stando alle autorità cinesi, da ieri non si sono registrati morti legati alla pandemia e 43 pazienti sono stati dimessi. In totali i contagi confermati nel Paese sono 82.875, con 4.633 morti, mentre i casi 'attivì sono 557.

L'India registra il record di nuovi casi di coronavirus nelle ultime 24 ore: ne sono stati registrati 2.293. Lo rende noto il ministero della Salute, secondo quanto riporta la Cnn. In tutto il paese ci sono almeno 37.366 casi e 1.218 morti. Il lockdown, che sarebbe dovuto finire domani, è stato esteso di altre due settimane, anche se ci sarà un allentamento delle restrizioni.


Intanto nel mondo il numero di sfollati interni, le persone costrette ad abbandonare le proprie case ma che non varcano i confini nazionali, ha superato la cifra record di 50 milioni nel mondo. Il più alto di sempre. A lanciare l'allarme è il report annuale sugli spostamenti forzati dell'Internal Displacement Monitoring Center (Idmc) di Ginevra, citato in un dossier dell'Ispi. Sebbene le regioni del mondo interessate dal fenomeno siano diverse, i tre quarti degli sfollati interni si trovano in appena 10 paesi (Siria, Repubblica Democratica del Congo, Yemen, Colombia, Afghanistan, Somalia, Nigeria, Sudan, Iraq ed Etiopia). Per loro, assiepati in campi informali spesso non organizzati, il distanziamento sociale richiesto dall'emergenza coronavirus, è praticamente impossibile. Ecco perché gli Internally displaced people (Idps) sono anche tra le persone più vulnerabili ed esposte alla crisi. «La pandemia comprometterà le loro condizioni di vita già precarie - spiega Alexandra Bilak, direttrice del centro - limitando ulteriormente il loro accesso ai servizi essenziali e agli aiuti».

 


Gli Idps costituiscono la maggioranza di coloro che scappano dalle guerre, superando di gran lunga il numero dei profughi, persone sfollate cioè che cercano riparo all'estero, che nel 2019 erano circa 19,8 milioni. Secondo il rapporto, il 90% degli sfollati interni nel mondo (45,7 milioni) ha dovuto abbandonare la propria casa a causa di conflitti armati e violenze. Su un totale di 50 milioni e 800.000, circa 18 milioni sono bambini al di sotto dei 15 anni mentre 3,7 milioni sono persone over 60. A guidare la lista di paesi con un maggior numero di Idps sono la Siria (6 milioni e mezzo), la Colombia e Repubblica Democratica del Congo (5 milioni e mezzo ciascuna) e lo Yemen (3 milioni e mezzo). Il restante 10% degli sfollati interni è causato da disastri ambientali: l'Afghanistan è il paese con più sfollati interni a causa di fattori ambientali: la siccità, alternata ad alluvioni, ha costretto un milione e 200.000 persone a lasciare le proprie case nel corso degli ultimi due anni. Seconda l'India, con mezzo milione di sfollati, causati dai monsoni. 

La pandemia di coronavirus sta ulteriormente frustrando gli sforzi per far fronte alla difficile situazione degli sfollati interni.
Secondo l'edizione 2020 del Global Report on Food Crises, degli oltre 800 milioni di persone denutrite quasi un terzo, ovvero 250 milioni, rischia di soffrire la fame in maniera ancora più profonda. Molti sfollati vivono in una sorta di limbo, abbandonati dallo Stato e irraggiungibili per gli operatori umanitari. Mentre il mondo si trova a dover contrastare l'epidemia di coronavirus, abbandonarli a sé stessi diventa una questione di salute pubblica che coinvolge tutti, poiché comporta dei rischi anche per chi vive a centinaia di migliaia di chilometri di distanza. «Il rischio invece è che l'arrivo della pandemia aggravi ulteriormente il problema - osserva infine Bilak - Se davvero stiamo precipitando verso una recessione questo avrà certamente un impatto sulla generosità dei donatori». In un mondo interconnesso, sarebbe un disastro per tutti. 

 
Ultimo aggiornamento: Sabato 2 Maggio 2020, 16:51
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