Bucha, la città martire torna a vivere: mercati e feste per i bambini. «Così cancelliamo l'orrore»

I piccoli si ritrovano per la prima volta. «Parlano di guerra, disegnano barricate»

Bucha, mercati e feste per i bimbi. «Così cancelliamo l'orrore»

di Mirco Paganelli

BUCHA - Al posto dei cadaveri, per strada ora è pieno di bambini che urlano e sorridono. La città degli orrori, dopo i massacri di marzo, ora cerca tutti i modi per tornare a respirare. Ma sul petto c’è un macigno. Nei mesi scorsi 45 mila abitanti sono fuggiti dai fucili di Mosca e ora in 10 mila sono già rientrati. Molte attività economiche sono però state distrutte e il lavoro latita. Scuole e luoghi di cultura faticano a riaprire. Manca il personale. I team di esperti sono impegnati nella conta dei danni. «Secondo i nostri calcoli servono 500 milioni di euro per la ricostruzione», rivela il vicesindaco Serhii Shepetko. Sono 179 gli edifici distrutti, più di un migliaio quelli danneggiati. «Luce, gas e acqua sono stati ripristinati. Ma la ricostruzione è indietro, mancano i fondi. Il governo sta dirottando tutto sulle forze armate». 

La fidanzata di Putin Alina Kabaeva e gli ufficiali degli eccidi di Mariupol e Bucha nella nuova black list della Ue

I GIOCHI IN STRADA
A pochi passi dalla biblioteca dove lo incontriamo, i più piccoli di Bucha giocano tutti insieme, per la prima volta da tre mesi, in un vortice di urla e colori. «È il primo evento pubblico dall’inizio della guerra», sorride Eugene Lopatin, volontario Unicef e residente del posto. «Qui dove prima c’erano cadaveri e auto bruciate ora ritorna la vita. Ogni giorno arrivano più persone». A pochi passi c’è un infopoint che offre le dritte su come ricevere aiuti umanitari, assistenza sociale o per risolvere problemi pratici come può essere quello di riparare una finestra rotta dalle esplosioni. 

IL RIENTRO
Nastia è una giovane madre che ha lasciato Bucha il 10 marzo assieme ai bambini di 5 e 2 anni. È tornata dopo due mesi: «La vita è ancora difficile, non c’è lavoro, ma volevamo tornare per avere una vita normale, soprattutto per i nostri figli». In zona risiedono molti abitanti del Donbas fuggiti dopo la prima invasione russa del 2014. Kseniia, 28 anni, è originaria di Donetsk. «È la nostra seconda guerra, riviviamo tutti quei sentimenti terribili, la paura». Vive senza grandi progetti, mettendo insieme un giorno dopo l’altro, a casa con i bambini. «Non ci sono più molte attività per l’infanzia», spiega Oleksandr Ostapa, volontario dell’Unfpa. Nei giorni più bui dell’occupazione alcuni suoi amici si sono nascosti nei sotterranei dell’ospedale con i figli: questo è il momento di convertire il trauma dei più piccoli in sentimenti positivi. Hanno bisogno di sentirsi amati e di sapere che i loro genitori saranno sempre con loro». Julia è un’insegnante, ma la sua scuola è chiusa, così ha accompagnato i suoi studenti alla festa di paese. «Sentivano la mancanza di casa, della propria città - racconta -. La reazione psicologica di ciascuno è diversa e come insegnante lavorerò assieme a loro.

E tutto andrà per il meglio». 

LE FERITE
Valeria è fuggita a Ternopil il 9 marzo ed è tornata il 18 maggio. «Qui c’è la casa che abbiamo costruito». Lei e il marito hanno un mobilificio che al momento resta chiuso. Lavorano online. «Quando siamo fuggiti, mia figlia piangeva tutto il tempo. Ogni rumore la terrorizzava». I soldati russi sono entrati anche nella loro casa. «Ci hanno puntato i fucili addosso, siamo stati perquisiti e derubati. Il nostro vicino ha provato a resistere e subito gli hanno sparato». Olha, 29 anni, fa fatica a raccontare i giorni dell’occupazione ma per capire il trauma basta vedere i suoi figli che ora costruiscono barricate per gioco. «I bambini parlano sempre di guerra, è difficile cambiare argomento», racconta Natali Kniazeva, volontaria della zona che organizza attività ludiche. «Eppure, bisogna insistere. Hanno bisogno di tornare alle loro routine, ma con le scuole chiuse non è facile». 

L’ECONOMIA
La quotidianità è cambiata per tutti. I supermercati sono in gran parte bruciati o saltati in aria. Gli adulti fanno la spesa al mercato di strada che ora è aperto più spesso. «C’è meno gente di un tempo, ma ora siamo aperti anche in mezzo alla settimana», spiega un’ambulante. La sua cliente Maria ha 84 anni e ha passato tutto il tempo dell’occupazione in casa. Da sola. I russi l’hanno interrogata. «Vivo vicino al sindaco e loro lo sapevano. Mi hanno chiesto se l’avessi visto. Per strada c’erano carri armati, fucili – ricorda con gli occhi di chi vuole dimenticare -. Per più di un mese non c’erano acqua, gas, elettricità. Chi aveva scorte di cibo era fortunato. Gli altri facevano la fame». Lungo la passeggiata ci sorride Leonidas, 86 anni. Anche lui non ha mai lasciato Bucha. Sua moglie è disabile e scappare a ovest sarebbe stato impossibile. «Il 26 febbraio ci siamo rintanati nella cantina». È inconsolabile quando la sua mente ripercorre ciò che ha visto: «Hanno ucciso dei miei amici. Li conoscevo. È così doloroso». I drammi nella sua vita si sovrappongono. «Ho vissuto la seconda guerra mondiale, ma non ho mai visto dei criminali simili. Grazie a Dio abbiamo vinto quella guerra e adesso vinceremo anche questa». 
 


Ultimo aggiornamento: Sabato 4 Giugno 2022, 11:47
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