Leggi anche Brexit, cittadini italiani residenti in Gran Bretagna garantiti e tutela per export e imprese
Leggi anche Brexit, trovato accordo. Il capo negoziatore Ue Michel Barnier: «Risultato di lavoro intenso»
E il rischio di un'ennesima bocciatura, dopo le tre inflitte a Theresa May, appare concreto: con la prospettiva di far naufragare sul nascere la mezza vittoria odierna di BoJo e di riaprire lo scontro sulla partita della richiesta d'un ennesimo rinvio dell'uscita dall'Ue, oltre il 31 ottobre. Richiesta imposta sulla carta al primo ministro (in assenza di accordo ratificato) dal Benn Act, la legge anti-no deal promossa dalle opposizioni. Ma che Johnson giura e spergiura di non voler invocare e che del resto i 27 (basterebbe il veto d'un solo leader) potrebbero teoricamente pure negare. I conti sono presto fatti. All'esecutivo mancano come minimo una ventina di voti. Rispetto all'epoca May, l'inquilino attuale di Downing Street sembra aver ricompattato almeno il suo partito, i conservatori, salvo singole defezioni di dissidenti pro Remain ultrà o di super falchi brexiteer.
Per il resto il via libera c'è, sia da parte dei Tory moderati sia dal grosso degli euroscettici storici della corrente dello European Research Group (Erg). E però non sono sufficienti. All'appello mancheranno infatti i 10 compagni di strada del Dup, roccaforte della destra protestante nordirlandese più reazionaria, la cui leader, la controversa Arlene Foster, s'è confermata alla fine nei panni di signornò. «Non possiamo votare a favore», ha fatto sapere in una nota dopo aver preso visione degli ultimi aggiustamenti del testo che garantiscono sì una sorta di potere di veto al Parlamento locale di Belfast sulla macchinosa soluzione doganale individuata come alternativa al backstop, ma a maggioranza assoluta: mettendo di fatto gli unionisti sullo stesso piano dei rivali repubblicani cattolici dello Sinn Fein.
E si tratta di un no che pesa.
We’ve got a great new deal that takes back control — now Parliament should get Brexit done on Saturday so we can move on to other priorities like the cost of living, the NHS, violent crime and our environment #GetBrexitDone #TakeBackControl pic.twitter.com/etNQNeIfgw
— Boris Johnson (@BorisJohnson) 17 ottobre 2019
Tanto più che dal fronte delle opposizioni i proclami ufficiali sono da guerra aperta. Il leader laburista Jeremy Corbyn ha già dato ordine ai suoi di votare contro liquidando il deal di Johnson come una versione più liberoscambista e «peggiore di quello di Theresa May», con il rischio di «una corsa al ribasso su diritti e tutele» dei lavoratori nordirlandesi e britannici in generale. E reazioni non meno dure sono arrivate dalla liberaldemocratica Jo Swinson, paladina del secondo referendum al grido di «fermiamo la Brexit», come pure dell'indipendentista scozzese Nicola Sturgeon e dai capigruppo di partiti minori. Nonché dalla trincea opposta, dal tribuno del Brexit Party, Nigel Farage. Giochi fatti quindi? Non è detto.
Qualche margine ci può ancora essere per il governo, specialmente se la ratifica del deal s'incrociasse con una mozione pro referendum bis: inducendo magari un drappello di laburisti eletti in collegi brexiteer a dare obtorto collo manforte a Boris, in vista della sempre più imminente resa dei conti con le urne. A maggior ragione se l'esecutivo riuscisse a imporre la scelta d'un voto - annunciato dal ministro dei Rapporti con il Parlamento, Jacob Rees-Mogg, in aperta sfida al Benn Act - fra «questo deal e un no deal». La situazione d'altronde è tale da confondere addirittura i bookmaker. Le cui quote sulle chance d'una 'Halloween Brexit', entro la scadenza di fine ottobre, oscillano come impazzite: fra 2 contro 1 di Oddschecker a 10 contro 1 di altre agenzie
Ultimo aggiornamento: Giovedì 17 Ottobre 2019, 19:18
© RIPRODUZIONE RISERVATA