Azovstal: scontri feroci, appelli e corridoi umanitari falliti. La storia di un assedio da film

Ottantadue giorni che sono una metafora dell'assalto russo all'Ucraina

Azovstal: scontri feroci, appelli e corridoi umanitari falliti. La storia di un assedio da film

di Gianluca Cordella

Ottantadue giorni che sono una metafora dell'assalto russo all'Ucraina. Da un lato le truppe di Putin che accerchiano, attaccano, bombardano. Dall'altra la resistenza di Mariupol, simbolo della resistenza di un Paese, capeggiata dagli uomini del battaglione Azov. L'alba dell'aggressione scatenata da Mosca coincide perlopiù con il momento in cui la luce del sole scompare dalle teste dei militari e dei civili ritirati nelle viscere dell'acciaieria Azovstal. Impossibile stabilirne il numero, le stime di fine febbraio parlavano di circa duemila militari, tra effettivi dell'esercito ucraino e membri del corpo speciale su cui pendono le accuse di nazismo urlate dal Cremlino. Imprecisati i civili. Com'è imprecisata la quantità di armi e munizioni a disposizione degli asserragliati. Inizia così l'assedio delle truppe russe, che, pur disponendo con certezza di una superiore onda d'urto, scelgono inizialmente la tattica dell'accerchiamento. Provano a far scoprire le carte agli Azov piuttosto che consegnarsi a un assalto di fanteria che, con la logistica a favore degli ucraini, avrebbe portato solo a una scriteriata carneficina. Dall'interno dell'acciaieria, intanto, i soldati di Mariupol documentano su Telegram le giornate di guerra, una dopo l'altra.

Gli appelli

La sensazione che è Azovstal debba cadere da un momento all'altro, ma non succede mai. Si parla con insistenza di «ore decisive» per le sorti dello scontro, ma le ore si sommano, giorno dopo giorno, e arrivano fino a ieri. Nel mezzo le faticose trattative, con il presidente Zelensky che chiede aiuto alla comunità internazionale e gli appelli dei militari per i civili feriti. Arrivano anche le struggenti parole delle mogli dei militari di Azov, alcune delle quali in Italia. «Fateli uscire, così non resisteranno ancora a lungo e non li vedremo mai più».

Con il passare di giorni, infatti, l'assalto di Mosca si fa sempre più ossessivo. I bombardamenti sono costanti e, pur mantenendo il presidio, per gli asserragliati iniziano a essere gravi anche le perdite. A fine aprile finalmente si comincia a parlare di corridoi umanitari per l'evacuazione dei civili ma i primi tentativi falliscono. Solo il 1° maggio 50 persone riescono a lasciare i sotterranei della fabbrica. I russi concedono altri tre giorni di tregua all'alba per l'evacuazione dei civili ma, contestualmente iniziano le operazione a terra: se l'Azovstal non cade, la presa di Mariupol non sarà mai definitiva. Così piovono sull'area «anche le bombe al fosforo», denuncia il consigliere del sindaco Petro Andryushchenko. Fino all'annuncio di ieri pomeriggio della Difesa di Mosca - «accordo raggiunto per l'uscita dei feriti» - rilanciato in serata dal comandante del reggimento Azov, Denis Prokopenko. «I difensori di Mariupol hanno eseguito l'ordine», dice. Ma la sensazione è che la storia di Azovstal abbia ancora molto da raccontare.
 


Ultimo aggiornamento: Martedì 17 Maggio 2022, 17:01
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