Donne e lavoro, gap salariale e vita familiare: quando il part time diventa una gabbia

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di Angela Padrone
Ci si lamenta sempre del fatto che in Italia le donne siano poco presenti nel mercato del lavoro, rispetto ad altri paesi. In effetti abbiamo appena raggiunto la percentuale del 50% di donne in età lavorativa che percepisce uno stipendio. In Europa questa percentuale supera il 60%, con punte del 70% nel Regno Unito, e anche oltre in Nord Europa. Perfino la Spagna supera l'Italia. Queste cifre, però, nascondono una trappola: la trappola del part-time.
Il part time viene spesso evocato come una delle forme di flessibilità utili per aiutare le donne a restare nel mercato del lavoro, soprattutto quando si sono avuti figli e quando - oltre all'impegno professionale - ci si voglia occupare anche della famiglia. Un aiuto. Apparentemente un aiuto, sì. Infatti nei paesi dove l'occupazione femminile è più alta si raggiungono percentuali di donne occupate part-time del 40% in Gran Bretagna, di quasi il 50% in Germania e di quasi l'80% in Olanda, un record (Balancing Act, The Economist 7/9/2019).

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Attenzione, però, questi paesi sono anche quelli dove è maggiore il pay gender gap, cioè la differenza media tra gli stipendi degli uomini e quelli delle donne. Il motivo è semplice: chi lavora part time di solito fa un lavoro meno qualificato di chi lavora full time (e quindi è meno pagato); ha pochissime probabilità di fare carriera; e infine chi inizia a lavorare part-time verso i 30-35 anni (età del primo figlio per le donne) ben difficilmente riuscirà mai a tornare al lavoro a tempo pieno.
Abbiamo quindi una massa di lavoratrici, formalmente occupate, ma in realtà intrappolate in lavori scarsamente qualificati, sotto-pagati e di poca soddisfazione. E, poi, con pensioni molto basse.
Ma perché allora le donne ricorrono al part time? Perché, in società tradizionaliste come quelle di Italia e il Giappone (ma vale anche per Olanda, Germania e Gran Bretagna) le donne che lavorano sono costrette a dedicare un alto numero di ore alla cura della casa, dei figli, e della famiglia. Quindi la diffusione del part time, che sembrava utile per allargare la partecipazione al mercato del lavoro, rischia di mantenere le differenze economiche e sociali tra uomini e donne.

Per di più, è proprio nella diffusione del part-time che si nasconde il tranello del pay gender gap, perché la differenza tra il monte ore delle donne e quello degli uomini diventa enorme. Guarda caso in Italia questa differenza è (statisticamente) meno appariscente. Il che non vuol dire che non ci sia. Ma il numero delle donne che lavora è così basso, e la divisione del lavoro così rigida, da farlo apparire meno rilevante.
Il risultato di questa segmentazione del mercato del lavoro, (secondo l'Economist) è che nelle famiglie nelle quali c'è un uomo orientato alla carriera (che lavora 70 o 80 ore a settimana), ci sarà una donna che glielo permetterà lavorando part-time, riducendo le aspettative professionali.
La strada verso la parità nel lavoro quindi andrebbe invertita, rispetto a quella seguita di solito: non partendo dal lavoro fuori casa, ma dall'interno delle mura domestiche. Finché uomini e donne non condivideranno i lavori basilari di cura e di riproduzione in famiglia, sarà molto probabile, non solo in Italia ma in tutti i paesi europei, che le donne il gender gap degli stipendi si generi con il part-time .
 
Ultimo aggiornamento: Sabato 28 Settembre 2019, 09:06
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