Le Maes dos Santos brasiliane chiedono di avere un loro canale tv: «Noi discriminate dai media»
di Maria Serena Patriarca
Ad oggi tale richiesta non ha portato ancora a nessun risultato concreto, anche per via della pandemia Covid19, però è significativo che queste figure femminili, ancora avvolte nel mistero per chi è estraneo al Candomblé, vogliano appropriarsi di un nuovo spazio tutto loro cavalcando i tempi e chiedendo di dar voce a tradizioni ancestrali che sottolineano il potere creativo e sacro del genere femminile. Il Candomblé nasce con l’arrivo degli schiavi dall’Africa Nera in Brasile: per poter continuare a praticare i culti animisti e legati alle forze della natura senza incorrere nelle censure dei padroni portoghesi cattolici, proprio gli schiavi misero in atto una fusione delle loro pratiche e cerimonie indigene con gli insegnamenti, i santi e i riti del Cristianesimo. Ciò diede vita ad una nuova forma di religione, dove in un certo qual modo si fondono sacro e profano e dove, attraverso riti di iniziazione, offerte, la musica assordante dei tamburi ed esperience di “trance”, ogni singola divinità (o Orixa, di solito abbinata ai vari elementi naturali e ad un Santo ben preciso) può personificarsi in uno dei praticanti. Come afferma Daniela Degan, esperta nella ricerca sui temi della non violenza, della decrescita e della storia al femminile, «il mondo simbolico e concreto del Candomblé e degli Orixàs si potrebbe definire come il mondo della Città delle Donne. Donne che sono capaci di tenere insieme sacro, quotidiano, forze naturali, visibile e invisibile».
É proprio l’universo variegato al femminile che viene scandagliato nel libro di Marcella Punzo intitolato “Le Grandi Madri del Brasile”: un volume che analizza le case dei terreiros come spazi sacri, il punto di unione per comunità che spesso (specialmente per ciò che concerne le donne) devono affrontare grandi criticità nella vita quotidiana. Eppure in questi spazi Madri, Figlie e Padri di santo sono custodi di tradizioni sciamaniche ancestrali originarie dell’Africa, consapevoli che il benessere del sé si può ottenere solo recuperando l’unione profonda e armonica con le forze della natura, e che non c’è autentica consapevolezza umana se si separano corpo e spirito. Il potere creativo femminile è rappresentato dal colore bianco, simbolo di purezza e di rinascita, con cui vestono le Maes dos Santos: in origine regine nella propria terra, poi divenute schiave in Brasile, con questa veste spirituale si riappropriano metaforicamente del proprio "trono". Per anni la tradizione del Candomblé è stata tramandata solo oralmente. E chissà che, se fosse accolta la richiesta di creare uno specifico canale tv dedicato a questa realtà, ciò non potrebbe contribuire a riconoscere il dovuto spessore culturale a questa forma di sapere spirituale e salvaguardare nel tempo il valore di riti e celebrazioni che costituiscono comunque un patrimonio prezioso per il Brasile. Come dice un antico canto che echeggia durante le cerimonie nei terreiros: «Inginocchiati davanti alla donna. La donna ci mise al mondo. Così, noi siamo esseri umani. La donna è l’intelligenza della Terra. Inginocchiati davanti alla donna».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 5 Giugno 2020, 13:38
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