Instagram, boom di followers per le influencer musulmane col velo: «Seguire un credo non significa non vestirsi fashion»

Boom per le influencer musulmane col velo: «Seguire un credo non significa non vestirsi fashion»

di Rossella Fabiani
Sono seguitissime dalle it girl musulmane, sono cool e portano l’hijab. Amano gli accessori eccentrici, gli occhiali da sole oversize, i rossetti dai colori accesi e i foulard trés chic. Dina Torkia (nota come dinatokio), inconfondibile con i suoi turbanti, volto da modella, rossetto color porpora, non è diversa dalle colleghe blogger occidentali, ma è diventata la vera regina dei social media musulmani britannici. E si è conquistata un suo spazio accanto alle star di Youtube come Tanya Burr e Louise Pentland. Di recente ha anche pubblicato un libro - “Modestly” - dove affronta temi come bullismo, disturbi alimentari, abbigliamento per la maternità, contouring e femminismo.

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Designer, blogger e mamma di due bambini, il suo profilo Instagram ha oltre un milione di follower ed è tra le protagoniste del movimento delle “Hijabis” (risultato della fusione delle parole hipster e hijab) perché “seguire un credo religioso non significa non vestirsi fashion. L’hijab non si tocca, ma non per questo non può essere cool”, dice Dina Torkia.

Ma non è la sola. Tanto che oggi siamo davanti al fenomeno delle hijabi blogger o “hijabista”. E i social media, soprattutto Youtube e Instagram, sono diventati i portali dove le giovani ragazze musulmane che portano lo hijab e che amano la moda hanno trovato uno spazio per conciliare velo e fashion. Si va dai hijab tutorial in cui mostrano vari stili di portare il velo, con diversi colori per ogni occasione e per ogni carnagione, con vari tessuti per ogni stagione, fino ai blog per cui sono diventate delle vere e proprie influencer, seguite da migliaia di follower. Oggi le hijabi bloggers sono un riferimento per lo stile delle ragazze e delle donne musulmane moderne.  

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La portata di questa ondata ha già prodotto numerosi effetti: le Hijabis hanno infatti presentato il loro dress code al Dubai Fashion Festival mentre alla “Casa araba” di Madrid è andata on stage la prima sfilata di moda musulmana. I dati sono interessanti: il 62 per cento delle popolazioni di fede islamica nel mondo è composto da giovani sotto i trent’anni. Il che significa anche consumo. Come la moda appunto. 

Se ne è palato anche al Turin Islamic Economic Forum. E il fashion system lo sa. Dkny è stato il primo marchio a lanciare una Ramadan Collection. “Haute Hijab” è invece la linea di moda creata da un’altra blogger: Melanie Elturk, 30 anni, di padre libanese e madre filippina, nata e cresciuta a Detroit, negli Stati Uniti. Melanie segue i dettami del Corano, ma permette alle donne musulmane di essere alla moda. Oltre a vendere costosissimi hijab in tutto il mondo, offre tutorial che spopolano su Instagram e Youtube dedicati proprio alle hijabistas.

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Ci sono poi le “Mipsterz” che hanno fatto parlare di loro con il video “Somewhere in America” dove raccontano lo stile delle giovani donne musulmane che vivono negli Usa. Nella loro pagina fb si definiscono “una comunità inclusiva, che non giudica e ha interessi e passioni diverse”. Da non trascurare, poi, gli scatti di street style islamico di Sara Shamsavari, un’inglese di origine iraniana. Il suo concept: fotografare donne con l’hijab. Fashion, naturalmente.

Il profilo Instagram di Voile Chic, stilista di veli hijab per donne musulmane, ha 249 mila follower. Tanti, ma pochissimi se paragonati ai 5,1 milioni dell’indonesiana Dian Pelangi, la più nota fashion blogger della moda islamica. O agli 1,2 milioni della già citata Dina Torkia. Una community di influencer che mostra un volto diverso delle donne musulmane che rivendicano il loro stile, senza dimenticare i precetti del Corano.

Le pioniere della modest fashion (la moda sobria) sono state le hijaber dell’Indonesia (Indonesian Hijabers Community), il più grande Paese musulmano al mondo per numero di credenti. E poi la Rete ne è stata contagiata. Moda e fede si intrecciano anche nei post. E accanto agli shooting, ai selfie, ai filtri e alle foto ammiccanti (ma non troppo), si possono trovare frasi del Corano e preghiere. L’hashtag #hijab conta ormai quasi 50 milioni di post, #hijabstyle 20 milioni e #hijabchic 5 milioni.

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Quando Dolce & Gabbana hanno lanciato la prima collezione di hijab e abaya - il camice nero che copre tutto il corpo tranne testa, piedi e mani - Forbes la definì “la mossa più intelligente degli ultimi anni”. E non aveva torto. Il giro d’affari intorno alla modest fashion si aggira intorno ai 300 miliardi di dollari, ed entro quest’anno secondo Reuters è previsto un incremento fino a 484 miliardi, con una quota di mercato del 13 per cento.

Diversi brand occidentali hanno già lanciato collezioni dedicate alle Muslim Millennials, il vero target della halal revolution: appassionate di moda, età media intorno ai 30 anni e, soprattutto, molto connesse.

Dopo Dkny, sono infatti arrivati Tommy Hilfiger, Oscar De La Renta, Valentino, Prada. Ed anche i marchi del fast fashion come Zara, H&M, Mango e Uniqlo che ha collaborato con la fashion designer musulmana Hana Tajima per la sua linea di modest wear. Gli ultimi a entrare nel business sono stati i magazzini Macy’s, che hanno lanciato una propria linea di veli.

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Ma la moda è diventata anche un’occasione di business per le donne. A Dubai è stato creato l’Islamic Fashion and Design Council per incentivare lo sviluppo dell’industria della moda islamica nel mondo. Da qui è nata poi, in risposta alle settimane della moda, la Prȇt-à-Cover Buyers Lane, supportata dal governo emiratino. L’Arab Fashion Council, fondato a Londra nel 2014, ha creato invece la Arab Fashion Week. Quello stesso anno è nata anche la Giornata mondiale del velo che si celebra da allora ogni 1 febbraio. E sempre a Londra, nell’ottobre del 2019, si è svolto il primo Modest Fashion Festival. Senza dimenticare il debutto del mensile “Vogue Arabia” nel marzo 2017 che, per la sua prima cover, ha scelto la top model Gigi Hadid coperta da un velo impreziosito di pietre.

Ma se di moda si tratta, è la Rete il vero place to be. Instagram in primis. Ancora prima che D&G dalla Sicilia decidessero di sbarcare nel mondo islamico, il social network delle fashion designer si è popolato di foto con veli eleganti e brand di moda islamica. E i milioni di follower non arrivano soltanto dai Paesi musulmani per eccellenza. Molte - come del resto gran parte delle stesse fashion blogger - sono ragazze e donne di fede islamica che si sono stabilite sul territorio europeo o negli Stati Uniti.

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Il corpo - certo - è coperto. E il senso di pudore e di modestia devono valere anche nell’abbigliamento, ma abaya e hijab non sono più soltanto neri o bianchi. Ci sono colori vivaci e stampe glamour da abbinare ai capi tipici della moda occidentale. E il velo viene indossato dalle più giovani sempre di più su outfit casual, come fanno le mypster, la versione musulmana degli hipster.

Maryam Asadullah, 285mila follower all’attivo, dal Texas, ha creato ad esempio una linea fatta di jeans e lunghi camicioni con top da abbinare sopra. Mariam Sobh a Chicago ha lanciato il magazine online “Hijab Trendz”, in cui consiglia abbinamenti di ogni tipo. E persino la campionessa olimpica di scherma Ibtihaj Muhammad ha creato un proprio brand, Louella. Più lussuosa ed elegante, invece, Dalal AlDoub, dal Kuwait, con 2,7 milioni di follower, fa da testimonial a numerosi brand di profumi e make up, tra tacchi a spillo e pellicce.

E come le donne occidentali hanno i propri Zalando o Yoox, esistono anche piattaforme di e-commerce dedicate alla moda femminile islamica. Le imprenditrici dell’indonesiano Hijup.com sono perfino sbarcate alla London Fashion Week per promuovere il proprio sito. E forse non è che l’inizio.

 
 
 

Ultimo aggiornamento: Domenica 27 Settembre 2020, 11:16
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