Bobby Solo: «Mi trasferii a Milano con la mia famiglia e iniziò tutto»

Bobby Solo: «Mi trasferii a Milano con la mia famiglia e iniziò tutto»

di Ferruccio Gattuso

Guardi il cartellone di JazzMi e ti stropicci gli occhi: Bobby Solo è tra i protagonisti dell’ultima edizione della rassegna jazz milanese: domani in Santeria Toscana 31 (ore 21,30), insieme a un amico di antica musica come Paul Ambach alias Boogie Boy, l’artista romano darà vita a un live pieno zeppo «di rock’n’roll, standard crooning e jazz: la musica che faccio da più di sessant’anni e che non smetterò mai di amare». La carta d’identità di Bobby Solo, per capirci, canta la cifra settantasette. Un leone.

Bobby Solo, che ci fa a JazzMi?

«La chiamata di questo importante festival jazz mi ha stupito e onorato. Ma sono contento anche per loro».

Cioè?

«Qui in Europa il jazz per molto tempo è stato una chiesa chiusa, con le sue eresie e scomuniche. Ma in America già negli anni ’50 Fats Domino poteva suonare al Festival Jazz di Newport. Gli americani badano al sodo, che è il talento. E poi siamo tutti parenti».

Ci spieghi anche questa.

«In poche parole: il blues è un nonno, o uno zio, che ha generato due nipotini: uno ribelle e sbarazzino, il rock’n’roll, l’altro educato e che va all’università, il jazz».

Come sarà il suo live con Boogie Boy?

«Io e lui ci conosciamo dagli anni ’70: lui ha lavorato con giganti come B.B.

King e Sinatra. Ci incontrammo in Belgio, lui si innamorò del mio modo di cantare, per anni l’ho ospitato in Italia nella mia mansarda: divorava tonnellate di Pavesini. Otto anni fa mi fece aprire un concerto di Jerry Lee Lewis, gliene sarò sempre grato».

Cosa significa per Bobby Solo esibirsi a Milano?

«Ascolti questa: mio padre, dirigente Alitalia, detestava il rock’n’roll, non sopportava che avessi una band a Roma. Dunque accetta il trasferimento a Linate, veniamo a vivere in via Frua al 15, piazza Piemonte. E io qui che faccio? Prima conosco un certo Franz Di Cioccio, ai tempi coi capelli corti, lo chiamavano l’Alain Delon della Bovisa, e mi metto a fare musica con lui. Poi, grazie a un mio professore di greco del liceo che aveva uno studente il cui fratello era paroliere alla Ricordi, vado a visitare la casa discografica. C’era una segretaria carina, afferro una chitarra e mi metto a farle serenate di Elvis. Mi sentono, e spunta il primo contratto. Morale: il rock vince sempre».


Ultimo aggiornamento: Venerdì 7 Ottobre 2022, 06:00
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