Verhoeven, non solo Basic Istinct

Provocatorio e poetico: la carriera del regista

Verhoeven, non solo Basic Istinct

di Claudio Fabretti

«Un’operazione risarcitoria per un autore che ha attraversato gli ultimi cinquant’anni di storia del cinema non abdicando mai alla propria visione». Si preannuncia così, Il cinema di Paul Verhoeven, esaustiva panoramica sull’arte del regista olandese a cura di Antonio Pettierre e Fabio Zanello, saggisti e critici attivi sul web (sulle pagine digitali di OndaCinema il primo, di CiaoCinema il secondo).

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Già, perché non è bastato il successo mondiale di Basic Istinct a sdoganare lo stile visionario del cineasta di Amsterdam.

Eppure anche quel noir blockbuster, reso immortale dalla scena cult di Sharon Stone che accavallava le gambe, conteneva tutte le peculiarità di uno stile che troppo spesso è stato frainteso, anche dalla critica. Uno stile provocatorio e poetico al tempo stesso, che – come sottolineano gli autori - contamina i generi con toni allucinatori, orrorifici, surreali, spaziando con disinvoltura dall’erotismo (Fiore di carne, Basic Instinct) alla fantascienza (Robocop), al thriller (Il quarto uomo). Un cinema elegante e visionario che ha spesso trovato nell’attore-feticcio e connazionale Rutger Hauer l’alter ego ideale del regista. Intanto, fa già discutere il nuovo film di Verhoeven, passato a Cannes: Benedetta, la vicenda di una badessa del XVII secolo (Benedetta Carlini) demonizzata per il suo lesbismo.

Antonio Pettierre, Fabio Zanello, Il cinema di Paul Verhoeven, Falsopiano, 220 p, 20 euro.


Ultimo aggiornamento: Sabato 2 Ottobre 2021, 15:20
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