Mondiali in Qatar e non solo, come lo "sportwashing" cambia il calcio: il libro di Coluccia e Giustini

Mondiali in Qatar e non solo, come lo "sportwashing" cambia il calcio: il libro di Coluccia e Giustini

di Francesco Malfetano

Un'estate, un'avventura in più. Notti magiche inseguendo un gol. Ogni quattro anni Mondiali ed Europei hanno scandito l’esistenza di tifosi e appassionati. Un rito collettivo sempre in bilico tra l’estasi per un successo e la delusione per un’eliminazione precoce, dove la collocazione temporale in pieno periodo estivo sembrava essere una delle poche inscalfibili certezze rimaste. È sempre stato così, sin dal Mondiale in Uruguay nel 1930 e sin dal primo Europeo trent’anni dopo. Il 2022 invece è l’anno zero, il titolo di nazionale campione del mondo viene assegnato in inverno e per la prima volta in Medio Oriente, nel raggio di settanta chilometri tra stadi avveniristici e le aride dune del deserto. Come si è arrivati a questo punto? Quale terremoto ha scosso il mondo del calcio? E soprattutto quali macerie questo si è lasciato alle spalle? Sono le domande a cui rispondono Giorgio Coluccia e Federico Giustini, entrambi giornalisti sportivi, nelle 247 pagine di "Calcio di Stato", appena pubblicato da Ultra Sport – Lit Edizioni (16,50 euro) con la prefazione di Riccardo Cucchi.

IL QATAR
Al centro della mappa c’è il minuscolo Qatar, Paese ospitante di un evento planetario che rappresenta l’apice dell’espansione nell’ultimo ventennio delle monarchie del Golfo nel calcio e in tutto il mondo sportivo. Un’ascesa irrefrenabile a cui è stata attribuita l’etichetta di sportwashing, termine comparso per la prima volta nel 2015 sui media americani e britannici. Indica la spiccata tendenza a sfruttare lo sport per ripulire l’immagine di un Paese agli occhi del mondo ed è stato inventato in occasione degli European Games in Azerbaigian, anche se il concetto già da tempo era stato fatto proprio dalle realtà del Golfo attraverso uno strategico esercizio di soft power. Finalità geopolitiche, economiche e di branding che vanno oltre i novanta minuti di una partita di calcio, i giri sul circuito in un Gran Premio di Formula Uno o le medaglie assegnate per un Mondiale di atletica o ciclismo. Senza dimenticare l’eterna piaga delle violazioni sui diritti umani, più volte denunciata dalle principali organizzazioni internazionali come Amnesty International: «Stare al gioco dello sportwashing significa accreditare l’immagine finta e patinata di un Paese moderno, aperto e avviato alle riforme. L’idea che si arrivi in quei posti per i grandi eventi e si possa perorare la causa delle attiviste per i diritti delle donne in carcere, dei dissidenti lasciati a languire in prigione e dei lavoratori migranti sfruttati è semplicemente ingenua o colpevole».

Contemporaneamente all’assalto verso il mondo dello sport guidato da Qatar, Emirati Arabi e Arabia Saudita, negli scorsi anni tutte le monarchie del Golfo hanno lanciato le cosiddette Vision. Si tratta di ambiziosi documenti programmatici finalizzati a emancipare le rispettive realtà dalla dipendenza dalle risorse naturali - come petrolio e gas - per dare vita a una diversificazione economica e a una maggiore apertura verso le nuove generazioni dettata da turismo, intrattenimento e nuovi stili di vita. Anche se, secondo Cinzia Bianco, ricercatrice ed esperta della regione del Golfo Persico per l’European Council on Foreign Relations, «la diversificazione è solo parte di una narrativa. Per questi Paesi è una questione quasi esclusivamente esterna perché non hanno strumenti tradizionali di potere per imporre la propria presenza nei consessi internazionali, non avendo un esercito o sfere d’influenza geopolitiche da gestire in maniera esclusiva. Di fatto non posseggono il cosiddetto hard power. Quindi per stringere relazioni e avere alleati a livello mondiale, possono puntare solo sul soft power, che spazia dal loro ruolo globale di fornitori di energia al ruolo finanziario in tante organizzazioni internazionali fino al cosiddetto branding, per associare il nome del proprio Paese a una percezione positiva verso l’opinione pubblica. In più con i grandi eventi sportivi raggiungono un pubblico vastissimo in tutto il globo e sostenere determinati costi non rappresenta di certo un problema». Inoltre Cinzia Bianco si chiede: «In concreto cosa dovrebbe diversificare il Qatar? È uno stato grande quanto l’Abruzzo, con 300 mila abitanti qatarioti, che vive grazie alle risorse derivanti dal gas naturale. Risorse che sono due volte superiori a quelle della Russia, che invece è gigante. Tra l’altro il gas naturale non è nel mirino dei grandi movimenti climatici, non è a rischio di essere tassato o aggredito come il petrolio, che invece inizia a essere un problema».

In uno studio condotto da Kpmg sono state evidenziate le motivazioni chiave dietro l'acquisto di una squadra di calcio professionistica da parte di investitori internazionali. Sul fronte del capitale strategico si parla di capacità pubblicitarie, motivazioni geopolitiche, brand building e rete di contatti per esercitare la propria influenza. La pandemia ha affossato i bilanci di tante società, già gravate dai debiti e non sempre coperte da forti investitori in grado di ricapitalizzare. Il mondo del calcio continua a cercare nuovi introiti, prova in alcuni casi a far quadrare i conti con plusvalenze fittizie. Nuovi attori, allora, continuano a prendersi la scena. Dopo i matrimoni tra Emirati Arabi e Manchester City e quello tra Qatar e Paris Saint-Germain, nell’ottobre 2021 anche l’Arabia Saudita, attraverso il suo fondo sovrano, è scesa in campo acquistando il Newcastle dopo una lunga e complessa trattativa. Secondo Cinzia Bianco, quest’ultima operazione rientra in un quadro più ampio legato anche al consenso domestico: «Va fatta una distinzione tra Arabia Saudita e le altre realtà. L’Arabia Saudita è un Paese grande, di 30 milioni di persone, di cui i due terzi sono sauditi e c’è un mercato interno sia a livello economico sia a livello di appeal, di consenso. Mohammed bin Salman ha improntato tutta la sua strategia politica nel conquistare l’approvazione della fascia più giovane della popolazione, ossia il 60 per cento dei sauditi. Per Mbs poter dire ai suoi che il governo saudita adesso è in grado di attrarre questi eventi di importanza globale in patria, e che pure loro come Qatar ed Emirati Arabi vantano una bandierina in Europa o in Premier League, ha un valore interno importante. Negli altri Paesi questo aspetto domestico è quasi irrilevante, basti vedere la scarsa partecipazione del pubblico qatariota ai Mondiali di atletica a Doha nel 2019».

IL MONOPOLIO UEFA
Il calcio nel Vecchio Continente sembra, per il momento, essere riuscito a sventare una storica rivoluzione, quella della Superlega. Una competizione pensata dai club più importanti per aumentare e gestire direttamente i ricavi, sfidando il monopolio della Uefa. La reazione compatta di tifosi - soprattutto quelli inglesi - istituzioni calcistiche e addetti ai lavori ha indotto la maggior parte delle società che avevano aderito a fare marcia indietro. Da quei travagliati giorni primaverili del 2021, e dalle inevitabili polemiche infuocate che li hanno accompagnati, è uscito da vincitore un dirigente sportivo su tutti. Si chiama Nasser Al-Khelaifi, è il plenipotenziario designato dalla famiglia reale del Qatar per guidare il Paris Saint-Germain verso il successo. Il presidente dell’Uefa Aleksander Çeferin lo ha incoronato nei giorni successivi al tentato blitz, ringraziandolo per non aver partecipato e per aver promosso una forma di resistenza: «Siamo sostenuti dalla grande maggioranza dei club, compresi dei giganti che rispettano il calcio, la sua storia e i suoi principi. Io li ringrazio. Nasser in primis, grazie dal profondo del mio cuore. Dimostri di essere un grande uomo». Il passaggio immediatamente successivo ha visto Al-Khelaifi prendere il posto del dimissionario Andrea Agnelli da presidente della European Club Association. Anche in quel caso Çeferin ha espresso soddisfazione e gratitudine: «Il calcio ha bisogno di brave persone in ruoli di alto livello e Nasser è uno che ha dimostrato di essere in grado di prendersi cura degli interessi di più club oltre al proprio, il che dovrebbe essere un prerequisito per la posizione di presidente dell’ECA».

Nasser Al-Khelaifi è anche a capo del beIN Media Group, «il principale gruppo indipendente di sport, intrattenimento e media che opera in 43 Paesi nel mondo» stando alla descrizione offerta sul sito del network televisivo qatariota, uno dei principali finanziatori dell’Uefa in quanto proprietario dei diritti tv delle coppe europee nell’area MENA (Medio Oriente e Nord Africa) fino al 2024. Inoltre Al-Khelaifi è al secondo mandato come componente del Comitato Esecutivo dell’Uefa. Il groviglio si addensa se si ragiona sul rilevante ruolo dell’associazione dei club europei nella ridefinizione dei parametri del Fair Play finanziario, meccanismo di regole funzionante a fasi alterne pensato dall’Uefa per l’equilibrio dei conti e per l’autosostentamento dei club. Una serie di norme che, almeno sulla carta, avrebbero dovuto limitare gli investimenti dei cosiddetti club-Stato. Ma che, come anche per il Manchester City di proprietà emiratina, non ha impedito sontuose e milionarie sessioni di calciomercato. Anche la Fifa, dopo un Mondiale assegnato al Qatar tra mille controversie il 2 dicembre 2010, guarda con favore ai nuovi protagonisti del calcio. Con un presidente che ha scelto di trasferirsi, con famiglia al seguito, a Doha e che compare con piacere in video promozionali del Regno di Mbs senza rinunciare agli elogi per la tradizione gastronomica saudita. Il calcio e in generale tutto il mondo dello sport hanno ormai virato verso un nuovo epicentro, tra sconfinate risorse economiche e delicati equilibri geopolitici.


Ultimo aggiornamento: Lunedì 25 Luglio 2022, 15:43
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