Antonio Di Bella: Usa sotto attacco, l'assalto a Capitol Hill in presa diretta. «Che rischio per la democrazia»

Antonio Di Bella: Usa sotto attacco, l'assalto a Capitol Hill in presa diretta. «Che rischio per la democrazia»

di Stefania Cigarini

Antonio Di Bella c’era, ha rischiato in prima persona, ed ha subito messo nero su bianco un libro che servirà, con la giusta distanza, come contributo alla storia di un evento - impensabile fino al 6 gennaio 2021 - l’assalto alla democrazia americana. 

Sono passati quasi due mesi dall’attacco a Capitol Hill, il suo bilancio?

«Quello di un Paese ancora lacerato. L’invasione è stata respinta, ma il disagio che era alla base di quella rivolta, permane. Più di metà degli elettori di Trump, settanta milioni, sono ostili a Biden. Siamo ancora lontani da una fase di dialogo e la pandemia rende ancora più difficile un lavoro di ricucitura del neo presidente».

Prospettive?

«Le cose miglioreranno con la ripresa economica che i media prevedono per il prossimo anno».

Durante la diretta lei e la troupe Rai siete stati minacciati.

«Chi rischia la vita davvero sono i miei colleghi sui campi di guerra nel mondo. A Capitol Hill hanno prevalso una certa incoscienza e la mia voglia di raccontare un momento storico. Siamo stati fortunati ad arrivare dopo che i manifestati avevano già aggredito altri colleghi e distrutto le loro attrezzature».

Paura?

«Solo dopo, rivedendo le immagini».

Il futuro degli Stati Uniti

«Le parole di Biden, America is back sono importanti. L’America è tornata e si pone come modello di democrazia rispetto ad autocrazie come la Cina e la Russia.Sono convinto che un uomo solo al comando, o un gruppo di potere senza controllo, non sia in grado di affrontare i grandi problemi che abbiamo di fronte».

Servono più esperienza e incoscienza ad affrontare la folla in tumulto o un consiglio di amministrazione Rai?

«Diciamo che ho scelto di lasciare la mia amata direzione di RaiNews24, dopo tante soddisfazioni avute, e di tornare sul campo proprio perché dopo aver passato tanti anni a fare il direttore, avevo nostalgia di tornare a fare “il francescano della notizia”».

E la risposta alla domanda?

«Credo che siano due cose diverse, ma in questa fase, dopo aver provato tante cose diverse, ho voluto riassaporare il piacere di raccontare qualcosa che si vede con i propri occhi. E devo ringraziare la Rai che permette ancora di raccontare quello che succede nel mondo ai suoi cornisti, che sono tanti e bravi. Vale la pena di farlo».

Il modello Stati Uniti

«Senza volerlo per forza idealizzare, è il modello della democrazia parlamentare liberale, quella salvata dall’assalto della folla. È un riferimento importante che è già tale, oggi, se pensiamo al ritmo delle vaccinazioni, secondo solo a Israele e pari all’Inghilterra. E sarà un modello per il futuro uscendo, entro l’estate, dall’emergenza pandemia e riprendendo una produzione superiore al 4, 5 per cento. Gli esperti sono concordi usciremo da questa situazione solo coniugando sviluppo economico e diritti civili, cardini del sistema politico statunitense, figlio della rivoluzione americana».

Veniamo all’Italia e al neo premier

«Draghi è una grande opportunità, l’establishment americano ha una grande stima di “Supermario”. Ha rilanciato l’euro, ora deve rilanciare l’Italia e questo forse è un compito più difficile. Ho analizzato la situazione con Lucia Annunziata, altra grande esperta di America, nella trasmissione “Mezz’ora in più”. L’Italia ha una prospettiva più importante oggi nel dialogo privilegiato con gli Stati Uniti e nei rapporti con l’Europa. La Germania della Merkel aveva già i suoi problemi a rispettare i vincoli Nato in funzione dei rapporti commerciali con Russia e Cina».

Italia interlocutore privilegiato?

«Sì, partner privilegiato di una America che vuole rilanciare una Nato non più a trazione tedesca, ma con un alleato importante e guidato da Draghi, ben conosciuto a Washington. Non è un caso che nei giorni scorsi ci sia stato un incontro nell’ambasciata italiana a Washington, tra il nostro ambasciatore Armando Varricchio, l’ambasciatrice di Gran Bretagna Karen Pierce e l’inviato speciale della presidenza degli Stati Uniti per il clima John Kerry. A mio parere questo dimostra un asse privilegiato tra Washington, Londra e Roma».

Come si è arrivati a Trump?

«Trump è il frutto del globalismo cavalcato dalle tante leadership democratiche socialdemocratiche del mondo che hanno favorito i guadagni dei grandi imprenditori e impoverito le classi medio basse le quali, a loro volta, si sono rivolte a qualcuno che prometteva di riscattarne le sorti.

Trump è considerato spesso in Italia e in Europa un pazzo, in realtà ha dato voce a questa preoccupazione e a questa rabbia , ha canalizzato il senso di tradimento della classe medio bassa».

Duro lavoro ora per i democratici

«Certo, dovranno convogliare questa rabbia i speranza n, non sarà facile. È il compito che adesso hanno davanti le classi dirigenti, non solo d’America o d’Italia, ma del mondo».

Perché evocare il Watergate, scrivendo di Trumpgate?

«Per il senso di tradimento delle istituzioni e della Costituzione. Nixon ha rotto prima di tutto un vincolo costituzionale. Il senso etico di questo Paese è molto alto, chi dimostra una certa disinvoltura rispetto a meccanismi democratici considerati sacri, paga un prezzo molto alto. Ecco il parallelismo».

Cosa farà ora Trump?

«Entrare nella sua testa è impossibile, è un uomo imprevedibile e umorale. Molto dipenderà dai guai giudiziari ed economici che stanno per scatenarsi sul suo capo e per i quali la politica rappresenta sempre una protezione. Venendo a mancare quella, come spesso accade e non solo in America, si passa dall’esaltazione alla persecuzione. Molti suoi sponsor hanno ritirato i finanziamenti o addirittura li hanno chiesti indietro».

E se si ricandida?

«Può farlo, ma non può vincere. I repubblicani devono cambiare cavallo. Trump potrebbe però incoronare un candidato, perché ha sempre un seguito molto forte nell’elettorato americano».

Quale metropoli vorrebbe aggiungere nel suo “curriculum” professionale?

«Sono molto attaccato a questo Paese. Vengo qui da tanti anni, ho fatto corrispondenze nel 1990, nel 2010. Ho una certa consuetudine, se non un certo affetto. Mi affascina molto Washington. La Rai ha una sede storica a New York, alla quale sono molto affezionato, ma credo che una sede a Washington, dove ora posso andare spesso, potrebbe essere in prospettiva molto interessante. Al di là della mia persona».

Le fake news che l’hanno fatta più arrabbiare in questo periodo

«Che la pandemia non sia vera, perché mette a rischio la salute e la vita delle persone. E, a corollario, che i vaccini non siano utili perché semplice frutto delle speculazioni di multinazionali».

Come è cambiato il mestiere con i social?

«Non ho ricette, ma credo alla fine prevalga il rapporto fiduciario tra lettore e giornalista. Il lettore sceglie di chi fidarsi e questo è insostituibile. Dire falsità, o che siamo imbroglioni, diventa difficile se c’è qualcuno che ancora racconta i fatti in presa diretta. Il mio libro serve anche a dimostrare l’essenza del nostro lavoro».

Un instant book, possiamo definire così "L'assalto"?

«Assolutamente sì, è stato un miracolo. Devo ringraziare Laura Calosso e Simonetta Cossu che hanno dato una forma di libro ai dispacci dal fronte che mandavo da qui. È stata una corsa contro il tempo, valeva la pena farlo in fretta e farlo così. Fissare un momento che avrebbe potuto cambiare al corso della storia».

Come verrà raccontato l’assalto a Capitol Hill sui libri di storia?

«Un discrimine epocale. Il momento in cui le istanze populiste del mondo hanno avuto una destinazione fisica e materiale. E se quella notte il congresso non si fosse riunito per ribadire la propria sovranità, se la democrazia liberale e parlamentare si fosse incrinata forse la Storia avrebbe preso un’altra direzione».

Si parla tanto di donne, da Kamala Harris prima vicepresidente donna a Giorgia Meloni insultata da un docente universitario. Cosa pensa della questione femminile?

«Per cominciare sottolineo la mia solidarietà alla Meloni. Devo poi dire che l’America è il luogo dove l’affermazione delle donne è cosa concreta e meno propugnata che in Italia. Quando l’Italia potrà avere una candidata alla Presidenza donna, e Hillary Clinton lo è stata, allora potrà essere sulla strada degli Stati Uniti. Dobbiamo imparare la difesa degli interessi delle donne e la non discriminazione di tante fasce della società che soffrono».

Antonio Di Bella, L'assalto - Washington 06/01/2021 Cronaca del giorno che ha cambiato la storia (Rai Libri) 266 p. 18 euro


Ultimo aggiornamento: Martedì 2 Marzo 2021, 08:44
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