Noemi, l’autopsia conferma:
era viva quando fu sepolta
Botte e coltellate non letali

Noemi, l’autopsia conferma: era viva quando fu sepolta Botte e coltellate non letali

di Alessandro CELLINI
Noemi Durini era ancora viva quando la follia omicida di L.M., il 18enne reo confesso del delitto, si concretizzò in quella sorta di sepoltura dopo le botte e la coltellata. Morte per causa asfittica: questo il termine tecnico. E cioè: quando la 15enne fu coperta di pietre nelle campagne di Castrignano del Capo, ancora respirava. E se è vero quanto disse all’epoca dell’arresto lo stesso L.M., non solo respirava ma aveva trovato anche la forza di implorare il suo aguzzino. Salvo poi soccombere.
È la conclusione cui è arrivato il dottore Roberto Vaglio, che ieri mattina ha depositato presso la Procura per i minorenni la perizia medico legale sul corpo della vittima. Perizia che era attesa da tempo dalle parti in causa che, dal canto loro, avevano affidato ad altri consulenti un accertamento: nello specifico, i medici legali Francesco Introna, indicato dalla madre della vittima (assistita dagli avvocati Mario Blandolino e Giulia Bongiorno), ed Ermenegildo Colosimo, che ha ricevuto l’incarico dai legali dell’imputato, gli avvocati Luigi Rella e Paolo Pepe, che ora potranno presentare le loro controdeduzioni al documento del dottore Vaglio. L’accusa e soprattutto la possibilità di L.M. di sostenere un processo sono aspetti che si giocano tutti su carte, perizie ed analisi. Un lavoro successivo, affidato a consulenti ed esperti, a quello fatto dai carabinieri, quando l’eco della tragedia ancora non si era spenta.
Le conclusioni del medico legale incaricato dalla Procura sostanzialmente combaciano con quanto detto dal ragazzo ai due consulenti nominati dal Tribunale che hanno dovuto redarre la perizia psichiatrica del presunto assassino. «L.M. conferma che Noemi fosse caduta. E, nuovamente, dichiara che mentre poneva le pietre sopra alla ragazza, lei dicesse: Che c... stai facendo?». La psicologa Maria Grazia Felline e lo psichiatra Alessandro Zaffarano, assistettero alla ricostruzione dell’omicidio fatta dal ragazzo, ben diversa da quella che, successivamente, consegnerà a una lettera, nella quale viene indicato come esecutore materiale un 49enne di Patù.
Quelle parole raccontavano un dettaglio sconvolgente: che Noemi, appunto, fosse ancora viva quando lui decise di sommergerla di pietre. Di seppellirla insomma. E il dettaglio è rimasto nel novero dei dubbi fino a quando il medico Roberto Vaglio non ha sciolto ogni riserva, dichiarando che né le botte né la coltellata siano state sufficienti a uccidere Noemi. E in particolare, il fendente al collo non avrebbe reciso vasi sanguigni talmente importanti da portare alla morte. E dunque: morte per asfissia. Hanno un senso, a questo punto, le risposte date agli psicoterapeuti. «Quando sono andato via io, Noemi era viva». Dichiarazioni che dovranno ora essere valutate attentamente, anche alla luce della personalità del ragazzo. Che era sì capace di intendere e di volere al momento del delitto - come ha poi stabilito quella perizia - ma anche in grado di manipolare i fatti e mischiare, quanto volutamente non è dato sapere, le carte in tavola.
L’omicidio si consumò il 3 settembre dello scorso anno. Quel giorno, stando al capo d’imputazione formulato dal pubblico ministero Anna Carbonara, L.M. passò alle 4.51 del mattino a prendere Noemi, a bordo della Fiat 500 di proprietà della famiglia. Da Specchia percorsero tutta la litoranea, arrivando a Castrignano del Capo. Qui, in una campagna dell’entroterra, Noemi fu uccisa. Il suo corpo rimase nascosto da quelle pietre per dieci giorni, fino a quando lo stesso L.M. - sul quale nel frattempo si erano concentrate le attenzioni degli investigatori - non ammise di aver ucciso lui la fidanzatina.
Ultimo aggiornamento: Sabato 17 Febbraio 2018, 13:59
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