Lidia Macchi, svolta al processo per la studentessa uccisa: «La prova chiave era un falso»

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di Claudia Guasco
«Verrà la morte e avrà i tuoi occhi», scrive il misterioso autore di una missiva citando Pavese. È il 10 gennaio 1987, giorno del funerale di Lidia, e a casa Macchi a Varese arriva una busta anonima con un'ode struggente. «In morte di un'amica», è il titolo. Racconta i dettagli dell'omicidio della studentessa ventenne, massacrata nel bosco di Cittiglio con 29 coltellate.

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ANIMA LACERATA
Per l'accusa a scriverla è stato l'assassino e cioè Stefano Binda, ex compagno di liceo di Lidia Macchi che frequentava lo stesso gruppo di Comunione e liberazione, condannato in primo grado all'ergastolo con l'aggravante della violenza sessuale. Ma ora, nel processo d'Appello, la prova regina vacilla con la deposizione dell'avvocato Piergiorgio Vittorini: «Un mio cliente mi ha detto di essere l'autore di quella missiva», afferma davanti ai giudici. L'uomo, racconta il penalista, si è presentato nel suo ufficio a febbraio 2017, un anno dopo l'arresto di Binda, liberandosi di quel macigno: «A oltre trent'anni il segreto mi sta lacerando l'anima, ho una famiglia, ho dei figli. Ho scritto io la lettera inviata alla famiglia di Lidia».

Vittorini, avvalendosi del segreto professionale, non ha voluto rivelare l'identità del teste e dunque sulla utilizzabilità di questa deposizione i giudici decideranno durante la camera di consiglio. All'avvocato il poeta misterioso ha spiegato di aver composto quei versi come forma di «protesta» contro una morte terribile e ingiusta, facendo un parallelismo tra la morte di Lidia e la «passione di Cristo». È «una persona laureata, con un alto livello professionale» e avrebbe scritto il testo, pieno di riferimenti alle Sacre scritture, come «atto di cordoglio: non conoscevo Lidia Macchi, ma condividevamo lo stesso contesto di Cl a Varese».

RIESUMAZIONE
Come mai fino a oggi non si è mai fatto avanti? Dichiarando la paternità della missiva, avrebbe potuto scagionare Binda. «In quel periodo ero a Milano - ha rivelato - ma non riesco proprio a ricordare dove fossi la sera del delitto». E non essendo in grado di fornire un alibi, «ha paura di finire in carcere», sostiene Vittorini. Una perizia grafologica ha confermato che la calligrafia della lettera è quella di Binda e a febbraio 2016 il sostituto pg di Milano Carmen Manfredda, a caccia della prova definitiva, ha chiesto la riesumazione del cadavere di Lidia in cerca di tracce di dna dell'ex compagno di liceo: non trovate. Sono stati però isolati quattro capelli, che non appartengono all'imputato. Prossima udienza il 24 luglio, per le discussioni delle parti e, forse, per la sentenza. «Non ci sono le condizioni per arrivare alla conclusione finale», si è opposto il legale di parte civile Daniele Pizzi. Che ha chiesto la ricusazione del collegio per «manifesta anticipazione di giudizio».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 19 Luglio 2019, 08:55
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