Tra i tanti modi possibili, per celebrare questo 8 Marzo, ho pensato che forse uno, più di tutti, merita oggi la nostra attenzione: lo smart working.
Fino a prima della pandemia, per gli italiani era un’usanza “esotica”, da paesi evoluti. Poi, due anni fa, con il primo lockdown, è arrivato anche da noi. Con una formula improvvisata - è bene dirlo - perché né Stato né aziende, in quel momento, hanno avuto il tempo di mettere a punto orari e modalità. In sostanza, per l’Italia, lo smart working è stato il lavorare da casa, i più fortunati con un computer in dotazione. Ma questa è un’altra storia. Ora, secondo me, il problema è un altro.
A Maggio 2020, infatti, quando è stato possibile tornare in presenza, ma i ragazzi erano ancora in DAD, a rientrare in ufficio sono stati per lo più gli uomini. A quel punto, il rischio che si profilava all’orizzonte è stato chiaro. E ancora di più lo è stato dall’anno successivo, quando soprattutto le donne hanno continuato a restare “in smart”.
Ora che l’allarme Covid sta per terminare, ci si chiede in che luogo sarà il nostro futuro lavorativo.
Poter lavorare da casa può cancellare le logiche del presenzialismo e portare meritocrazia, permettendo a chi è genitore di conciliare lavoro e famiglia. Lo smart working consente infatti di abbattere le disparità, ma a un patto: che sia uno strumento utilizzato da tutti, uomini e donne. Chi ha orecchie per intendere intenda.
------------------------------------------
Giornalista, autrice e conduttrice tv. Da anni realizza reportage di approfondimento su ambiente, sostenibilità e temi sociali. L'argomento che più la appassiona è la parità di genere. E' mamma di due bambini.
Ultimo aggiornamento: Martedì 8 Marzo 2022, 20:28
© RIPRODUZIONE RISERVATA