Ultimo: «Dopo il successo di Sanremo sono entrato in psicanalisi. Ma ho trovato una medicina»

Ultimo: «Dopo il successo di Sanremo sono entrato in psicanalisi. Ma ho trovato una medicina»

di Marco Castoro
Dalla periferia alle grandi città. Un tour molto impegnativo per Ultimo (alias Niccolò Moriconi da San Basilio, quartiere popolare a est della capitale) che dopo aver vinto a Sanremo tra i giovani, poco più che ventenne, si è esibito per due serate nella sua Roma. Ha fatto salire sul palco anche la sua fidanzata, Federica detta Wendy. A novembre riempirà il Palalottomatica, ma il cantautore ha già le idee chiare: l’obiettivo è un tour negli stadi. Il percorso e le radici lo accostano a Eros Ramazzotti, ma Ultimo è tifoso della Roma, non della Juve come il suo illustre predecessore. La strada è lunga. 

Quali emozioni forti prova sul palco?
Il calore della gente ancor prima che sali è qualcosa di indescrivibile.

Il suo pubblico ricorda quello della faccia pulita di Baglioni. Anche se il suo preferito è Vasco…
Vasco è talmente un dio che può permettersi tutti i tipi di pubblico. Lui trasmette emozioni pure se legge le pagine gialle. Il mio pubblico ha una media è di 30 anni, quindi non ci sono solo adolescenti, ma ultra 50enni. 

E come si spiega?
Penso che il contrasto sia un’arma vincente nella musica e nell’arte. Se vedi un ragazzo per strada pieno di tatuaggi e in tuta non penseresti mai che davanti a un piano sa farti emozionare. Un 50enne piangeva per una mia canzone e ciò non me lo so spiegare.  

Perché Ultimo?
È una condizione in cui mi sono ritrovato spesso in mezzo alla gente, messo da parte. Incompreso. Mi sento una vittima e non mi vergogno a dirlo. Di chiunque subito penso: perché ce l’ha con me? 

Un atteggiamento di comodo o è timidezza?
Mi potrei definire un paraculo timido. Molto introverso perché non parlo con la gente, ma sul palco mi trasformo. Mi piace pensare che sia quello il mio posto, solo lì sto bene e sento un’energia pazzesca: non mi può fermare neanche l’ipocondria che mi porto dietro.  

Ha paura del successo?
Ho paura di me. Da quando ho cominciato il tour tartasso due medici, Giampaolo e Maurizio, perché ho la fobia di svenire. Mi sento sempre debole e quindi ho il panico di sentirmi male sul palco, anche perché non sto mai fermo.

Il successo carica di responsabilità?
Assolutamente sì. Io dopo Sanremo sono entrato in psicanalisi, perché mi sento un peso addosso che non volevo. Quello che dici può cambiare la vita di qualcuno. La psicanalisi dovrebbero farla tutti. 

I testi delle canzoni li scrive da solo?
Sì al piano. Trovo la melodia e poi canto con parole inventate in inglese che sostituirò con il testo. 

Qual è la canzone che sente più sua?
Sogni appesi. Ma anche Giusy. 

E in assoluto?
Sally di Vasco Rossi. L’ho detto da ospite nel programma di Marzullo.   

L’amicizia con Fabrizio Moro quanto è importante?
Moltissimo. La sua presenza è fondamentale per la mia crescita.

Ci sono ragazzi della sua età che pensano che picchiando un professore o bullizzando il compagno di scuola si sentono realizzati. Però a costoro non si può dire come ai suoi fan: fate quello che volete perché la vita è una?
Sono idioti. Mi fa schifo l’ipocrisia che ha portato tutti a dire e fare quello che si vuole. La libertà di vivere non è questa. Bisogna creare un cerchio e nuotare all’interno di questo cerchio, altrimenti tra una sparatoria e radersi la barba non vedi la differenza. Devi avere dei paletti tra cui sistemarti.

Possiamo dire che il segreto del successo è provare a volare lasciando a terra te stesso? 
Certamente. Sono miei versi…
Ultimo aggiornamento: Lunedì 14 Maggio 2018, 09:01
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