​Simona Marchini: «L'arte dei piccoli per l'Unicef». Una mostra ed un recital in favore dei piccoli rifugiati

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di Paolo Travisi
Simona Marchini è il simbolo di una romanità lontana, in cui convivono l’amore per la bellezza, una leggera malinconia ed una sana schiettezza. Figlia di un partigiano, poi imprenditore, è cresciuta tra intellettuali, politici ed artisti. Sin da giovanissima, ha coltivato la passione per la recitazione, tra teatro, tv e cinema. E la generosità.
 
 

Dal 1987, come Ambasciatrice per l’Unicef, sostiene progetti di aiuto ai bambini, che nascono senza privilegi. Il 13 giugno inaugura alla GNAM la mostra La parola ai bambini. Immagini e sensazioni narrate dal loro linguaggio, opere realizzate da giovani migranti.

Parliamo di ricordi. Il periodo di Quelli della notte con Arbore?
«Indimenticabile. Arbore vide il mio primo provino e dopo sei anni mi mandò un messaggio in segreteria. Devi fare la telefonista. Io improvvisai con la voce di quella che fu il mio personaggio. E nacque la signora Simona».

Ha fatto parte di quella televisione che divertiva senza volgarità. Che ne pensa della tv di oggi?
«Mi fa orrore da trenta anni, ma non sono retrò, solo che non mi piace la bruttezza e la strumentalizzazione delle persone indifese. Dai tempi di Colpo grosso, vidi una catastrofe dei modelli che proponevano la vendita della dignità solo per il successo».

Lei ha respirato politica in famiglia. Oggi che ne pensa?
«È deprimente. Un tempo, mi ricordo, che amici deputati per Natale si regalavano i libri. La politica ha vissuto una bella fase evolutiva, non c’era questa aggressività, oggi c’è un veleno profondo che è stato inculcato nelle persone».

Tanta gente è indignata da come viene descritta Roma. Lei?
«È una città complessa, le mafiosità ci sono sempre state, ma io ho visto il declino dopo il periodo di Rutelli. Ci sono tante persone di valore, non solo le buche. Dire che va sempre tutto male è una tecnica depressiva e io non sopporto chi la denigra».

Suo padre Alfio è stato anche Presidente della Roma, che oggi è americana.
«Spesso i tassisti mi dicono “a Simò non c’è l’anima”. Io la amo, ma non c’è più il calore di un’appartenenza. Il fatto che ci sia Totti, simbolo di una romanità pulita, un po’ mi tranquillizza».

Gioie e rimpianti?
«La nascita di mia figlia e mio nipote. A venticinque, Marco Ferreri mi chiese di fare una parte in un film con Mastroianni, ma feci un incidente in auto. Mi ferii al viso e dovetti rinunciare, ma la vita mi ha ricompensato in altri modi».
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Ultimo aggiornamento: Lunedì 11 Giugno 2018, 08:23
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