“C'era una volta Sergio Leone”, la mostra all'Ara Pacis dedicata al mitico regista

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di Paolo Travisi
Lo squillo di un telefono, l'immagine di una scalinata e la foto in bianco e nero di bambini in una scuola elementare. Tre pezzi che s'intersecano nella vita privata e compongono la vita artistica di Sergio Leone, “il più romano tra tutti registi della storia del cinema, per la sua grandiosità”, dice Gian Luca Farinelli, curatore della mostra C'era una volta Sergio Leone”, all'Ara Pacis dal 17 dicembre.

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Il primo oggetto che attrae l'attenzione dei visitatori è proprio un telefono nero che squilla. Lo stesso che Noodles, il personaggio interpretato da Robert De Niro, sente suonare in C'era una volta in America”, l'ultimo film di Leone. La scalinata è quella di Viale Glorioso, il luogo dell'infanzia e delle avventure da ragazzino nel suo quartiere, Trastevere. E poi la foto. Difficili da riconoscere, eppure Ennio Morricone e Sergio Leone, sono insieme perché compagni di scuola alle elementari. A 90 anni dalla nascita e 30 dalla sua scomparsa, Roma (dopo Parigi) celebra il grande regista.

La mostra, attraverso foto di scena, sequenze di film, oggetti di set, prende avvio dalle origini del mito, con una curiosità: entrambi i genitori, attori del cinema muto, girarono nel 1913 il primo film western italiano La vampira indiana. Un segno del destino per Leone, che iniziò la gavetta con Vittorio De Sica (fece la comparsa in Ladri di Biciclette), Aldo Fabrizi, Steno per poi avvicinarsi ai registi americani che a Cinecittà giravano i peplum tanto di moda. Collaborò a Quo Vadis e Ben-Hur solo per citare i più celebri. “Leone ha sempre giocato sfide pericolose e ambiziose. D'altronde era un trasteverino che voleva riscrivere un genere americano, il western” ha spiegato Farinelli alla presentazione della mostra, “che racconta con intelligenza mio padre, l’uomo, il regista - spiega con emozione Raffaella Leone, uno dei figli del regista - lui sarebbe stato contento di essere in un luogo così significativo come l'Ara Pacis”.

Tra gli oggetti esposti, uno dei più significativi è un pianoforte. Quello che Sergio Leone aveva in casa e su cui Morricone suonò le prime note delle sue composizioni, che portarono entrambi al successo planetario con Per un pugno di dollari, primo film della trilogia del dollaro. “Dieci anni fa quando facemmo un primo allestimento alla Festa del cinema di Roma, Morricone mi disse Sergio ha aspettato tutta la vita questa mostra” racconta il curatore Farinelli.

Nelle varie sale che compongono la mostra ritroviamo le pistole usate nei film, il mantello di Clint Eastwood indossato per Il buono, il brutto, il cattivo, gli abiti di Claudia Cardinale, modellini e disegni di scenografie, cimeli messi a disposizione dalla famiglia Leone. E non mancano le foto con un Carlo Verdone agli esordi, perché Leone fu il produttore dei suoi primi film. Da ultimo l'enorme eredità lasciata dal regista nel mondo. Lui che s'ispirò a Kurosawa per le inquadrature dei suoi western, ha ispirato a sua volta i maestri del cinema contemporaneo, da Martin Scorsese a Quentin Tarantino, che di lui disse “si può partire solo da Sergio Leone”.
Ultimo aggiornamento: Martedì 17 Dicembre 2019, 14:56
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