Roma, arriva il primo raduno buddista. Il Maestro tibetano: «Un Festival di pace a 30 anni dal Nobel per il Dalai Lama»

Roma, arriva il primo raduno buddista. Il Maestro tibetano: «Un Festival di pace a 30 anni dal Nobel per il Dalai Lama»

di Valeria Arnaldi
È il nuovo maestro residente dell’Istituto Samantabhadra di Roma. Ma Ghesce Dorji Wangchuck, nato in Bhutan nel 1966, è anche il promotore (dal 9 al 15 dicembre presso WeGil), del primo Tibet Festival “Un lungo viaggio sul tetto del Mondo”. Un’iniziativa che cade in un momento molto particolare - dice -. Abbiamo perso il Paese, occupato dalla Cina. Per noi è fondamentale condividere la nostra cultura e farla comprendere. Non cerchiamo di fare proselitismo, ma di avere sostegno facendo avvicinare le persone alla nostra storia. Purtroppo in Tibet non abbiamo modo di fare nulla».

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Nel programma, una giornata dedicata al Dalai Lama. «Sono trascorsi trent’anni da quando gli è stato conferito il Nobel per la Pace - dichiara Ghesce Dorji Wangchuck -. Il Dalai Lama è noto nel mondo e questo facilita la diffusione del suo messaggio di pace, importante per tutti e in tutto il mondo. Non insegniamo la pace, ma la nostra meditazione vale per il bene di tutti». La vocazione al buddismo si è manifestata presto: «Da bambino, ho sentito subito che era quello che volevo. A dieci anni sono entrato in monastero». Un mondo affascinante, da conoscere. Ma + difficile essere un buddista in Italia? «No, qui la gente è aperta, è facile entrare in contatto con le persone di tutte le età. Non tutti sono interessati al buddismo ovviamente, ma si può discutere». Al Tibet Festival ad esempio si realizzerà un mandala. «Esistono vari tipi di mandala - spiega il maestro arancione che guida i tibetani di Roma -. Ne faremo uno per la compassione. La gentilezza e l’amore sono fondamentali per tutti, non solo per i buddisti. Viviamo un momento storico difficile, il mandala invia al mondo un messaggio di equilibrio». 

Infine un pensiero per il Panchen Lama Gedhun Choekyi Nyima, rapito nel 1995 e di cui si sono perse le tracce. Si tratta del piccolo Buddha: «Possono tenere il suo corpo imprigionato, non la sua mente. Siamo certi che un giorno il Tibet tornerà libero e che il Dalai Lama e il Panchen Lama potranno pregare insieme».
Ultimo aggiornamento: Lunedì 2 Dicembre 2019, 08:20
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