
Come ti sei accostato al tema “moda”?
«Realizzo “mash-up” manipolando icone e valori delle sottoculture anni 80/90 che hanno da sempre sviluppato veri “dress code”, quindi prima o poi questo incontro doveva avere luogo. StatuSymbol è un pretesto per realizzare la mia prima collezione di arte da indossare e un’occasione per mettere in discussione una scala di valori basata sull’immagine e non sull’immaginazione».
Le tue icone “fashion”?
«Paul Simonon dei Clash e Paul Weller degli Style Council».
Come hai lavorato sulle bag?
«Ho realizzato dipinti su tela di grandi e grandissime dimensioni, poi ho riprodotto gli stessi soggetti su economiche shopper: alcune sono dipinte a mano, altre stampate e ritoccate, altre ancora solo stampate ma sempre con metodi artigianali. Sono tutte pezzi unici e al tempo stesso, per definizione, mai autentiche, perché il gioco del “mash-up” è prendere elementi da fonti diverse e mescolarli per creare qualcosa di apparentemente nuovo».

Dalla street art all’arte da indossare, un modo per portare l’arte in luoghi inusitati?
«Non saprei, però dalla strada ho imparato due lezioni: la ricerca dello spot migliore per farsi riconoscere, quindi la necessità di sfruttare ogni opportunità per creare, e il Do It Yourself, fare e rifare senza aspettare che le cose arrivino».
Dove vorresti intervenire a Roma?
«Sul Colosseo, ma non si può e non si deve, e mi piacerebbe fare video mapping sui luoghi della mia Roma, quella che ho vissuto di più, da Ostia alla Garbatella, da Trastevere al rione Parione».
Ultimo aggiornamento: Lunedì 4 Giugno 2018, 06:40
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