Enrico Michetti a Leggo: «Per il rilancio non basta il turismo, serve una banca al servizio di Roma»

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di Davide Desario, Marco Esposito

A Roma rimbomba una domanda: Michetti chi?
«Michetti è un avvocato, docente universitario che negli ultimi 25 anni si è occupato di pubblica amministrazione. Ha gestito diverse pratiche complesse; forse questa attenzione sollecitata anche da parte dei sindaci di qualsiasi partito è stata la ragione per la quale lo hanno candidato a sindaco di Roma».

Enrico Michetti, 55 anni, è l'uomo che il centrodestra ha scelto per il Campidoglio. Qualcuno ha ironizzato sul fatto che fosse poco conosciuto. E lui ha prontamente cavalcato la cosa: ha tappezzato la città con un manifesto con il suo viso e accanto la scritta Michetti chi?


Quando ha capito che c'era la possibilità di diventare candidato sindaco?
«In realtà, già due anni fa fu chiesta la mia disponibilità per un eventuale candidatura, poi c'è stata un'accelerazione quando il mio nome è apparso sui giornali».


Lei ha detto che è stato determinante l'incontro con Giorgia Meloni.
«Abbiamo avuto due incontri: nel primo abbiamo parlato di politica. Nel secondo siamo entrati concretamente nel discorso candidatura. È nato un grande rapporto, ed ho capito che l'unica cosa che mi chiede la coalizione è quella di garantire la buona amministrazione, che è il dovere di un sindaco. Il mio obbiettivo sarà il corretto esercizio del potere al servizio dei cittadini».


Questa sfida la spaventa?
«No, anzi. Ne sono molto orgoglioso. È un'occasione straordinaria».


Perché allora tanti politici sono scappati dalla sfida di Roma?
«Credo abbiano paura della burocrazia di Roma che può annientarti. Io non ho paura di muovermi dentro l'attuale giungla normativa, anche se ammetto che non è semplice».


Burocrazia, troppe leggi. Come si risolve questo problema: molti sindaci iniziano ad aver paura di firmare anche una delibera.
«Serve un reale disboscamento normativo. Tutti si riempiono la bocca di innovazione tecnologica. Ma il digitale è solo un acceleratore delle procedure, ma non può eliminare le norme. E io tra le norme mi so muovere, le so leggere e le so scrivere».


Al ballottaggio alle ultime elezioni amministrative romane chi ha scelto tra la Raggi e Giachetti?
«Nessuno dei due. Poi ho votato Fratelli d'Italia, mi piacciono i valori che sostengono: patria, tradizione, legalità, cristianità».


Da cosa deve ripartire Roma?
«Da una visione di quello che si vuol fare della città. E questa visione va trasferita in termini di programma a 3 milioni di persone che vanno appassionate, parimenti a 55mila dipendenti, diretti o indiretti, del Comune di Roma. Dobbiamo remare tutti nella stessa direzione».


In pratica?
«Questa città ha perso attrattiva e ricchezza. E il solo turismo non può bastare. È una città che rischia la desertificazione economica. Tante aziende stanno andando via».


Cosa fare per fermare l'impoverimento di cui parla?
«La macchina della pubblica amministrazione deve cambiare completamente indirizzo: non più ostativa ma al servizio del cittadino e dell'impresa.

Sarò un sindaco amico delle imprese».


Che significa?
«Significa avere una pubblica amministrazione che risponde alle istanze dei cittadini in 30 giorni. La vera semplificazione è quando la PA parla con il silenzio, dando le autorizzazioni e facendo le verifiche ex post a campione; ma intanto permette all'imprenditore di andare avanti. Ma serve anche altro».


Per esempio?
«Serve una banca. Una banca di Roma, che finanzi le attività della Capitale. C'è bisogno di tutto ciò che consente al ciclo economico di potersi sviluppare. Il resto viene di conseguenza: nuovi impianti per i rifiuti, potenziamento della rete metroferroviaria, decoro cittadino».


Faccia un esempio di produzione di ricchezza
«Noi dobbiamo attrarre finanziamenti che vengono dal privato, facendo coincidere gli interessi del pubblico con quelli del privato».


Se andrà al ballottaggio chi teme di più?
«Non faccio questi calcoli. Temo solo l'astensionismo che sarebbe una sconfitta per tutti noi candidati. Vorrebbe dire che non siamo riusciti con i nostri programmi ad entusiasmare il popolo di Roma».


Intanto l'influencer Chiara Ferragni dice ai suoi 24milioni di follower che i politici fanno schifo.
«La politica è fondamentale, decide su tutti i temi importanti della vita. Io non sono d'accordo con la Ferragni. Il suo attacco mi sembra molto generico. Conosco diverse persone che fanno politica e che si sono spese interamente per questa attività e che lo fanno con amore, passione e serietà. Gente per bene».


A Roma c'è un problema di legalità?
«Per me la legalità è importantissima. La legge deriva dal popolo, dai cittadini che eleggono i nostri rappresentanti. Chi non rispetta la legge non rispetta il popolo. Io su questo sono intransigente, sono contrario ad ogni tipo di occupazione: non ci sono occupazioni buone e altre cattive. Per me il rispetto del principio di legalità è sacro».


Però sembra che il Paese non rispetti Roma: c'è un asse trasversale antiromano?
«Io respiro un clima di sfiducia nei confronti di Roma e dell'amministrazione. Non credo ci sia una strategia contro Roma da parte del governo, certo alcuni ministri avrebbero potuto fare di più per la Capitale».


Forse non si vuole una Capitale forte come è in altri Paesi?
«Roma in questo momento non è attrattiva, ha bisogno di riconquistare una sua centralità nazionale e internazionale. Noi abbiamo tanti atenei che dovrebbero sfornare persone di grandi qualità, una nuova classe dirigente di cui la città ha bisogno».


Magari qualcuno che finalmente sappia anche far quadrare i conti.
«Se diventerò sindaco di Roma, prima controllerò io stesso i conti del Campidoglio a partire da quelli della gestione commissariale. Solo poi, nel caso, concederò la delega al Bilancio».

 

Ultimo aggiornamento: Venerdì 9 Luglio 2021, 13:49
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