Diabolik, ultrà ucciso. Il dolore dell'amico di curva: «Voleva cambiare vita. Era il momento di vivere sereni»

Video
C'è un'intera tifoseria segnata dal dolore per la morte di Diabolik, al secolo Fabrizio Piscitelli, l'ex capo-ultras della Lazio ucciso in un agguato due giorni fa a Roma, nel Parco degli Acquedotti. Un dolore che però colpisce in maniera particolare chi, con Diabolik, ha passato diversi decenni, in Curva Nord e non solo. È il caso di Yuri Alviti, altro storico membro della tifoseria biancoceleste.

Simone resta disabile, insulti e minacce del condomino: «Spero che oltre al pisello ti si blocchi anche il cervello»​



Intervistato da Luca Monaco per l'AdnKronos, Yuri Alviti ricorda così l'amico ucciso: «Ho un ricordo indelebile, Fabrizio era e rimarrà per sempre il mio amico del cuore. Lui era un eterno Peter Pan. Negli ultimi tempi avevamo un'amicizia ancora più stretta. Parlavamo di tutto tranne che delle cose in cui era coinvolto. Parlavamo del nostro futuro, di quante ne avevamo passate insieme. Ci dicevamo che era ora di cambiare modo di vivere, di stare più sereni». Un'amicizia nata allo stadio e proseguita anche al di fuori: «Tra di noi ogni telefonata era uno scherzo, un prendersi in giro continuo: io sono di Trastevere e lui era del Quadraro, ci siamo conosciuti in curva, da ragazzini. Ogni domenica scendevamo un gradone dopo l'altro per avvicinarci alla balconata. Prima di fondare gli Irriducibili con Fabrizio e altri 25 ragazzi ci posizionavamo in basso a destra. Ogni tanto portavamo lo striscione 'ultras' – ricorda ancora Alviti – ma più che altro inizialmente eravamo un gruppo di cani sciolti, 25 ragazzi che giravano l'Italia e seguivano la Lazio sempre e ovunque. Ci vedevamo anche fuori dallo stadio, in settimana: Fabrizio e i suoi amici ci venivano a trovare a Trastevere».

Poi quei ragazzi sono cresciuti, hanno preso in mano le redini della curva Nord e per anni hanno guidato il tifo biancoceleste. "Adesso, da grandi, ci dicevamo sempre che era arrivato il momento di vivere sereni, Ci dicevamo anche: 'Perché noi amici stretti non andiamo a vivere tutti vicini?' A lui dava fastidio che molte cose che giravano intorno alla sua vita fossero negative, ma con me era sempre solare".
Cosa sognava? "Di aprirsi un'attività. Ultimamente gli avevo scritto per sms: 'A Fabrì, possibile che io e te siamo gli unici a Roma che non si sono ancora aperti una un'attività? Apriamoci un pub insieme".
Poi si commuove, Alviti. "Quando mi chiamava al telefono sai come mi chiamava?: 'Amo'. Fabrizio era il mio amico del cuore, adesso non ce l'ho più. Con chi parlo? – si sfoga – i giornali oggi l'hanno sfondato da morto, hanno scritto un sacco di cose non vere. A lui gli hanno sparato alle spalle perché non hanno avuto il coraggio di guardarlo in faccia. Mi mancherà da morire. Ora, da adulti, eravamo più amici che mai. Voglio ricordarlo per quello che era e sarà sempre per me, un grande amico. Un eterno Peter Pan”.
Ultimo aggiornamento: Venerdì 9 Agosto 2019, 11:39
© RIPRODUZIONE RISERVATA