La polizia Usa sta con l’Arma: «È stato colpito uno di noi»

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di Flavio Pompetti
L'agente Scot Wylley fa fatica a credere ai suoi occhi. Nella piccola stazione di polizia all'interno del campo universitario di Fullerton a sud di Los Angeles, lui e i circa trenta colleghi che lo circondano sono attivi sui social network e cercano di mantenersi in contatto con il resto del mondo al quale l'Internet spalanca le porte. I messaggi che hanno postato nel tempo hanno raggiunto al massimo 20.000 persone, poco meno della metà della popolazione universitaria del mega campo della Fullerton.

Carabiniere ucciso, Cerciello fu attirato in un luogo diverso da quello stabilito

Ma qualche giorno fa Scot e i suoi compagni hanno scritto il seguente messaggio: «La settimana scorsa il vice brigadiere Mario Cerciello Rega è stato ucciso da due giovani americani. Cerciello era appena tornato dalla luna di miele». Il testo è rimbalzato in ogni angolo del mondo ed è stato ripreso da molti quotidiani, fino a raggiungere nella giornata di sabato oltre trecentosessantamila visioni e duemila e settecento rilanci.

La piccola comunità di poliziotti della California del Sud ne è confortata, perché sente una speciale vicinanza nei confronti della famiglia Rega, e dei commilitoni del nostro carabiniere ucciso in centro a Roma. Qualche anno fa il capo della stazione della Fulllerton University, Raymund Aguirre, ha avuto modo di incontrare in un campo di addestramento internazionale il dirigente della Polizia di Stato Marco Strano, ex membro dell'Alto commissariato anti Mafia di Palermo e affiliato all'unità di contrasto alla criminalità organizzata del Sisde. I due sono rimasti in contatto: Strano ha fatto visita alla stazione di polizia in California, e un agente americano dell'unità cinofila è stato poi da lui invitato a Roma ad addestrarsi con i suoi omologhi che operano in Vaticano.
«La notizia dell'uccisione di Rega, e dei coinvolgimento nelle indagini di due studenti californiani ci ha colpito immediatamente e profondamente - racconta Wayne soprattutto quando abbiamo avuto il sospetto che in Italia arrivassero voci di critiche da parte dell'opinione pubblica sull'operato dei carabinieri in quella occasione. Volevamo testimoniare la nostra solidarietà, e il rispetto per la professionalità che riconosciamo all'Arma. Volevamo ribadire il concetto che quando viene colpito un agente, dovunque nel mondo, il dolore ci coinvolge tutti a qualsiasi distanza. Non importa di dove sei, tutti indossiamo una divisa che ha lo stesso valore, e che mette la nostra vita a rischio ogni volta che la vestiamo».



Il messaggio è arrivato lontano e ad alto volume. Il 95% dei messaggi di risposta vengono dall'Italia. Scot che a dispetto del cognome discende da una famiglia di italiani, cerca di tradurli con l'aiuto di amici, e scopre che sono tutti di felicitazioni e di ringraziamento per il coinvolgimento dei colleghi californiani.
 
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 7 Agosto 2019, 14:45
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