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Morì per un'infezione al pace-maker, condannato l'ospedale: "Ritardo nella diagnosi"
Un calvario lungo 16 mesi senza che qualcuno si avvedesse di quell'infezione che lo aggredì già nel 2009 dopo aver subìto un'operazione per la sostituzione di un pace-maker. Non servì un ricovero d'urgenza che si concluse tragicamente, nell'agosto dell'anno successivo. Il consulente del giudice di Monza a cui si era rivolta la figlia dell'anziano per ottenere un risarcimento ha stabilito «con sicurezza» che la morte fu causata da «una infezione contratta nel corso dell'intervento di sostituzione del pace-maker» e a «un ritardo nella diagnosi». Ha sottolineato, inoltre, che non furono tolti i precedenti cateteri il cui «abbandono» ha «registrato un'elevata incidenza in termini di recidive e di mortalità».
Ed è per questo che il giudice di Monza ha condannato l'ospedale a pagare oltre 180mila euro alla figlia dell'uomo, assistita dall'avvocato Giuseppe Badolato. Il magistrato non si è trovato d'accordo con il consulente nell'attribuire le cause del decesso al medico curante, che, peraltro, in quei 16 mesi aveva avuto contatti sporadici con il paziente e ha condannato l'azienda ospedaliera di Desio (Monza) spiegando che «è onere» della stessa azienda provare «di aver eseguito l'intervento a regola d'arte e che pertanto l'infezione in sede cardiaca si sia verificata per un evento imprevedibile e inevitabile e non per un'omissione di una attività cui era tenuta».
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