Zelig, Pino dei Palazzi racconta la sua infanzia "difficile" tra "siga", motorini e compagnie: «E il mito di della grande città»

Zelig, Pino dei Palazzi racconta la sua infanzia "difficile" tra siga motorini, e compagnie pre digital: «E il mito di Milano»

di Ferruccio Gattuso

 Il codino poco estetico, quel modo di muoversi un po’ meccanico, i piegamenti sulle gambe. E poi i rumori che riproduce, a partire dal motorino con cui si fanno “le penne”. Infine, quel terrificante maglione anni Ottanta: ormai è una divisa, ma certo indossarlo ancora nel 2022 è, a tutti gli effetti, un crimine contro l’umanità. Giancarlo Calabretta in arte Kalabrugovic sa come usare corpo, voce e immagine per farci ridere: è qualcosa a metà strada tra l’ossimoro di un mimo parlante e un fumetto vivente. Il comico lombardo (è originario di Bollate), cantore delle periferie “di una volta”, quelle delle compagnie, senza telefonini, web e selfie, è atteso allo Zelig Cabaret venerdì 30 settembre nel one man show autobiografico Un’infanzia difficile, dove non sarà solo “Pino dei Palazzi”, il personaggio reso celebre da Zelig.

Kalabrugovic, innanzitutto perché quel nome d’arte?

«Tutto nasce a Bollate, in compagnia: c’erano quei calciatori stranieri dai nomi strani che venivano in Italia a giocare. Tanti, dai Balcani. Abbiamo cominciato a chiamarci tutti con la desinenza slava».

La sua, come dice il titolo, è stata davvero “Un’infanzia difficile”?

«Diciamo non facilissima.

A Bollate vivevamo nelle case di una cooperativa bollatese: pagavamo l’affitto, strato sociale medio-basso, ma comunque ce la passavamo meglio di quelli delle case popolari, dove c’era pure qualche teppista, quelli che ti sfilavano la siga o le spillette dal giubbotto senza chiedertelo».

Viene da lì il suo mitico “Pino dei Palazzi”?

«E certo. Tanti pensano sia di Quarto Oggiaro o Barona: ma in fondo le periferia sono tutte uguali. Possono lasciare ferite, ma se te la racconti con ironia, come ho deciso di fare io, in fondo ne sopravvivi».

E quel maglione? Ne ha diversi capi, o tiene l’unico in cassaforte?

«Uno solo. Lo tengo nell’armadio, ma certo sta cominciando a usurarsi. Viene davvero dagli anni ’80: me lo comprò mia zia al mercato di Bollate».

Milano cos’è per lei?

«La metropoli nella quale calavo al sabato pomeriggio, la discoteca Rolling Stone dove andavo da ragazzino, e ovviamente, Zelig».


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 28 Settembre 2022, 06:50
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