Umberto Tozzi: «Ritorno alle origini, così sono nate le mie canzoni»

Umberto Tozzi: «Ritorno alle origini, così sono nate le mie canzoni»

di Ferruccio Gattuso

La chitarra tra le mani, sin da giovanissimo. La voglia di suonare e guardare in faccia il pubblico da sempre. «Si saltava sul treno a Torino, direzione Milano, dove i locali per suonare c’erano e potevi guadagnarti la pagnotta». Umberto Tozzi per anni ha dovuto difendersi dalle (solite) etichette che in Italia funzionano sempre: cantautore “leggero”, senza messaggio. Ma forse il messaggio era in quelle melodie: difatti, le sue canzoni erano abbonate al successo. “Ti amo”, “Tu”. “Stella stai” “Si può dare di più” e quella “Io camminerò” che offrì prima all’amico Fausto Leali e poi riportò a casa, nel suo repertorio. Tutta questa storia, in veste acustica (per la prima volta in carriera), il cantautore torinese porterà stasera sul palco del Carroponte.

Un ritorno dal vivo in veste inedita: come si sente?

«Benissimo. L’idea acustica è venuta dalle difficoltà della pandemia. La scorsa estate feci qualche data dal vivo, anche un concerto in streaming per raccogliere fondi per il mio staff tecnico, fermo da troppi mesi e in difficoltà. Lo streaming non raccolse poi chissà quanto, ma contava il gesto».

Il mondo della musica è stato tra quelli più colpiti.

«Si, ora cominciamo così, con concerti contingentati e va bene. Il futuro non è nelle nostre mani, ma conta essere ottimisti».

Lei avrebbe in agenda, per la prossima stagione, un tour con Raf.

«Doveva andare in scena mesi fa.

Se tutto funziona saremo, qui a Milano, al Teatro degli Arcimboldi a dicembre prossimo».

Tornando all’acustico: è stato difficile spogliare le sue canzoni?

«Per niente. Accompagnato da Gianni Vancini a sax e tastiere, Elisa Semprini al violino e Daniele Leucci alle percussioni, è stato bello tornare alle origini delle mie canzoni, quando le composi su pianoforte o chitarra. Ho avuto anche l’occasione di recuperare pezzi che, non essendo molto “rock”, non ho mai portato sul palco».

Milano per lei ha un significato particolare?

«A fine anni Sessanta, primi Settanta, era la città delle occasioni: i cabaret, i locali, gli incontri con gli artisti. Venivo a Milano senza avere un letto dove dormire: mi ospitavano amici come i Gatti di Vicolo Miracoli. In via Venini, dove vivevano tutti insieme, un divano per me c’era sempre».

Le manca quel periodo?

«Più che altro mi manca quella stagione in cui chi suonava viveva in continuo confronto, si provava insieme, ci si scambiava idee. Uno di fronte all’altro: certo non spedendosi basi via mail e duettando in modo virtuale come fanno i rapper di oggi».


Ultimo aggiornamento: Lunedì 19 Luglio 2021, 09:21
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