Eccola, la fase tre del recupero di Rogoredo, battezzata dal prefetto Saccone “L’unione fa la forza”: operatori socio sanitari al lavoro per sei ore al giorno per tutta la settimana, coordinati dalla Croce Rossa. Un recupero della zona che è anche e soprattutto il recupero di quel mondo sommerso che va a caccia di eroina da fumare o da farsi in vena. Un mondo in cui le facce sono sempre più giovani. Lo conferma Gallizzi, che si occupa dell’emergenza Rogoredo dal 2013. «I numeri sono sempre in crescita, e nell’ultimo anno abbiamo notato l’aumento delle ragazze». Il progetto è appena decollato, ci vorrà un mese per metterlo a regime, capire quali sono le fasce orarie di maggior afflusso, fare una fotografia dei frequentatori del boschetto. L’obiettivo è ridurre il danno dell’uso della droga e disincentivarne il consumo. Una difficile battaglia socio culturale. «Ci sono ragazzini che ci vanno solo perché ne hanno sentito parlare. Ci sono insospettabili con famiglia e lavoro che vengono a comprarsi la dose». Nel camper Areu ritirano le siringhe usate e ne consegnano di nuove: il primo giorno 80, ieri qualcuna in meno. Ma forniscono anche lacci emostatici, tamponi, acqua distillata, profilattici per prevenire l’Aids.
La stazione di Rogoredo sembra un varco tra mondi: i Frecciarossa sfornano viaggiatori in trolley, la metro rigurgita massaie, operai, scolari in fila dietro le maestre.
E poi ci sono loro, la popolazione con un biglietto per il boschetto, mille persone al giorno. Arrivano da Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia. In via Sant’Arialdo si incrociano quelli che vanno tra gli alberi e camminano velocissimi, e quelli che tornano indietro trascinando i piedi, con le pupille a punta di spillo, pronti a tornare domani. «Questa è Rogoredo», alza le braccia un poliziotto di ronda davanti alla stazione con un soldato dell’esercito. Rogoredo non è un luogo, ma una sfida sociale e culturale.
Ultimo aggiornamento: Venerdì 1 Febbraio 2019, 06:00
© RIPRODUZIONE RISERVATA