Citterio: «Tra l’Alcatraz e la città un amore lungo 23 anni. Risorgerà»

Citterio: «Tra l’Alcatraz e la città un amore lungo 23 anni. Risorgerà»

di Ferruccio Gattuso

Ci mette la faccia nella photogallery del suo sito, da solo e al centro del suo spazio. Che poi era lo spazio di tutti, perlomeno di tutti quei milanesi che amano il rock dal vivo, e che tengono le antenne ben dritte sui nuovi influssi pop e hip hop che vengono dall’Italia e dal mondo. Lui è Lorenzo Citterio, 39enne manager dell’Alcatraz, discoteca e tempio della musica live dal 1998, ormai una vita. E a proposito di vita, questa si è fatta dura da ormai un anno, causa pandemia.

Ne è passata di musica da qui, in ventitré anni: se lo aspettava tutto questo silenzio?

«Impossibile prevederlo. Questo locale è nato grazie all’intuito di mio padre, io frequentavo il liceo, bigiavo per venire qui. Ma non pensavo di lavorarci».

Eppure, lei ci sembra molto rock.

«La musica mi è sempre piaciuta. Mi sono laureato in giurisprudenza, sono diventato avvocato, ho lavorato all’estero in Thailandia e Cina e poi, bè, ha vinto il rock. Proprio quando papà era tentato di vendere, nel 2004: ho preso io le redini».

Cosa ha reso l’Alcatraz ciò che è?

«L’atmosfera che da subito si è creata qui. E poi l’alchimia particolare tra locale e quartiere. L’Alcatraz è arrivato in Isola quando questa zona era depressa, non cool come oggi. Quella tra Milano e l’Alcatraz è stata una immediata storia d’amore. Tanto che negli ultimi tempi il locale era diventato un’attrazione, c’erano tour turistici che includevano una serata da noi».

Torniamo al silenzio della pandemia.

«A dire il vero le difficoltà sono cominciate col terrorismo, dopo l’attentato al Bataclan nel 2015. I controlli per la sicurezza, il pubblico impaurito. Poi, il Covid. Dal 21 febbraio 2020, un anno esatto, siamo chiusi.

La scorsa estate nel cortile all’aperto, col Good Vibes bistrot e bar, abbiamo organizzato eventi con economie risicate. Da settembre abbiamo concesso l’Alcatraz anche per shooting e servizi fotografici».

Si ricorda l’ultimo concerto andato in scena?

«Certo, i Lacuna Coil a settembre scorso, in streaming. Il 27 febbraio dovrebbero tornare qui per il progetto L’Ulitmo Concerto. A distanza di un anno dalle prime chiusure del 2020 130 live club regaleranno uno show in streaming gratuito. Tutti sanno che la musica live senza pubblico perde la sua anima. Il live è un rito collettivo, non è solo ascolto passivo».

Meglio non pensare al calendario perso per strada.

«Decine di live: da Francesco de Gregori a Willie Peyote, da Diodato a White Buffalo, da Ketama a Cristina D’Avena».

Si aspetta una ripresa a breve?

«La vedo lunga. Al momento è tutto fermo, e temo che il pieno regime lo avremo nel 2022. Siamo in affitto, i proprietari si sono dimostrati sensibili e ci sono venuti incontro. Per tutti la coperta è corta. Speriamo nell’estate».

Il cambio di governo aiuterà o meno?

«Più che altro noi gestori non possiamo perdere altro tempo, confidavamo nel decreto ristori. Come Alcatraz, per dare percentuali, abbiamo avuto nel 2020 un crollo del 90%. Nella normalità facevamo quattro serate a settimana, discoteca nel weekend. In una stagione venivano 500mila persone».

Immagini il meglio: il ritorno alla normalità. Prevede una festa?

«Molto di più: un evento non stop. Non voglio nemmeno immaginare un mondo dove non si possa fare festa ballando e ascoltando musica insieme, abbracciandosi e bevendo dallo stesso bicchiere».


Ultimo aggiornamento: Venerdì 26 Febbraio 2021, 09:26
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