Maurizio Micheli: «Mi voleva Strehler, ma ora il teatro è un club per pochi»

Maurizio Micheli: «Mi voleva Strehler, ma ora il teatro è un club per pochi»

di Ferruccio Gattuso

Conosce molti modi per farci ridere, e ha qualche asso nella manica per farci commuovere. Maurizio Micheli, 74 anni compiuti il 3 febbraio, è uno che di palcoscenici ne ha calpestati, e certo non poterlo fare ora gli mette addosso quello che a Milano si chiama il “magone”. Quando scegli di intraprendere la carriera di attore devi essere naturalmente portato per l’ottimismo, ma calarsene qualche dose oggi è arduo. Sipari abbassati, speranze stabili, umore certo non scattante verso l’alto.

Cosa si aspetta dal futuro prossimo?

«Non saprei. La speranza è d’obbligo, ma il realismo ti porta a pensare cose non esaltanti».

Tipo?

«La prima è questa: del teatro interessa a ben poca gente. A essere precisi, interessa a chi lo fa e a chi lo segue, quattro gatti, siamo ormai un club».

Senza potere politico?

«Ecco. Ma ci ha visti, come associazioni di categoria e come singoli lavoratori, a manifestare in strada? Non riusciamo nemmeno a commuovere la gente. La verità è che la tv e il cinema hanno trovato vie d’uscita, si sono adattati, tra portali streaming e altro. Il teatro, però, è una cosa diversa: per esistere ha bisogno di vivere dal vivo, con un pubblico davanti».

Questa estate lei fu l’unico ad andare in scena con una commedia ambientata durante la pandemia.

«Si intitolava Su con la vita, da me scritta, diretta e interpretata con Benedicta Boccoli, Nini Salerno e Nina Pons. È una piéce in due atti con due storie differenti, entrambe ambientate in tempi di Covid, con il distanziamento e la reclusione in casa.

La prima è una storia di relazioni extraconiugali, la seconda ha come protagonisti dei mimi di strada, in una città disabitata. Andammo in scena solo due volte, a Norcia e Avezzano. Ma appena sarà possibile, lo riprenderemo».

Appunto, quando sarà possibile?

«Non sono un virologo, né siedo al governo, ma posso immaginare che una certa normalità la recupereremo dal prossimo autunno. Anche se l’estate porta sempre un po’ di speranza di lavoro, con la possibilità di un pubblico all’aperto».

Ha approfittato in qualche modo del lockdown?

«Al primo lockdown ho scritto Su con la vita, a ottobre avevo in programma Servo di scena e, se si alzerà il sipario, dal 26 febbraio dovrei tornare con questa piéce al Quirino di Roma. Infine, dovevo riprendere Uomo solo in fila al Teatro Franco Parenti, dove già due anni fa raccolsi un grande successo».

Per il suo testo di culto “Mi voleva Strehler” c’è sempre spazio?

«Quello non serve nemmeno provarlo. È la mia casa, ci sto comodo dentro e l’ho rappresentato più di mille e trecento volte».

Tra l’altro è un spettacolo che racconta la sua relazione speciale con Milano.

«Sono nato a Livorno, cresciuto a Bari, mi sono formato da giovane attore a Milano, al Piccolo, e da tempo vivo a Roma. Ma i miei giorni milanesi restano indimenticabili: gli anni Settanta erano pieni di tensione culturale. C’era un pubblico affamato di teatro».


Ultimo aggiornamento: Lunedì 15 Febbraio 2021, 06:00
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