Coronavirus, Stefano guarito a 51 anni: «Io sopravvissuto, vi racconto l'inferno del virus»

Coronavirus, Stefano guarito a 51 anni: «Io sopravvissuto, vi racconto l'inferno del virus»

di Simona Romanò
 «Che meraviglia il sole e respirare l’aria tiepida di queste giornate. È come se fossi nato una seconda volta, ho vinto contro il virus. Ho potuto abbracciare mia moglie dopo tre settimane al Sacco e ho pensato di essere un miracolato. Perché la lontananza è stata dolorosa con l’incognita di non sapere quando e se ci saremmo rivisti». Stefano Terragni, 51 anni, di Milano, dipendente del Comune, sposato da vent’anni con Angela, ce l’ha fatta. Il covid-19 l’ha colpito duramente: il suo quadro clinico era serio per l’insorgere della polmonite, a un passo da dover ricorrere al casco per la ventilazione, l’anticamera della terapia intensiva. «Sono stato per settimane con una particolare maschera dell’ossigeno, chiamata Venturi. Sono guarito. Mi hanno dimesso venerdì scorso e ho così trascorso una meravigliosa Pasqua a casa», racconta con voce felice, interrotta da colpi di tosse, strascichi della malattia.
Ha temuto di morire?
«Finché ero a casa, sperando di farcela con le medicine prescritte dagli operatori del 112, non avevo la percezione di quello che mi poteva accadere, ma arrivato al pronto soccorso del Sacco ho visto scene che non dimenticherò».
Racconti.
«I medici aiutavano tantissimi pazienti ridotti peggio di me: boccheggiavano terrorizzati, qualcuno già con il casco. Io non riuscivo a reggermi in piedi per il respiro sempre più affannoso, come se avessi un cuscino sopra la faccia, ma mi sentivo ancora un po’ in forza. Ho chiesto una sedia e mi sono imposto di reagire».
Com’è iniziato l’incubo?
«Il 16 marzo i primi sintoni, tosse e febbre fino a 39 e mezzo. Pregavo che fosse influenza, ma dopo una settimana sono peggiorato: il cibo sembrava cartone, senza gusto, non riuscivo a parlare e a respirare. E il 23 marzo il ricovero, dove nonostante le cure, il livello di ossigeno nel sangue non saliva».
E la paura cresceva?
«Mi aggrappavo alle parole di dottori e infermieri: tutti bardati, mi tranquillizzavano ripetendomi che “sarei migliorato”».
Come si è contagiato?
 «Non so. Sono sano e non credevo di essermi esposto al contagio. Ho trascorso, ai primi di marzo, cinque giorni in montagna con amici, ho poi lavorato una settimana e infine è esplosa la malattia. Ma nessuno di chi ho frequentato ha avuto i sintomi del Covid-19».
I suoi familiari?
«Ero terrorizzato di aver contagiato le persone che amo. Per fortuna, né mia moglie né mia madre, di 85 anni, si sono ammalate».
La sua vita cambierà?
«Non sarà più come prima, perché ho preso coscienza che siamo esseri fragili. Da un giorno all’altro mi sono trovato in un incubo. Ora vorrei assaporare la vita e viaggiare un po’ di più. Soprattutto ho avuto tempo di riflettere».
Su cosa?
«Sulle persone. A quelle che amo dirò più spesso i miei sentimenti. E rimedierò con quelle che avevo giudicato male, ma adesso si sono dimostrate amiche».
Come sta?
«I tamponi sono negativi e sto recuperando le forze. Spero tanto che le persone rispettino le restrizioni».
Un appello?
«Stiamo a casa, con pazienza, il tempo che occorre.
Il covid-19 non va sfidato, io sono pieno di vita e di vigore, ma sono stato davvero male. E sono tra i più fortunati». 

Ultimo aggiornamento: Mercoledì 15 Aprile 2020, 10:46
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