Alberto Genovese è ancora chiuso a San Vittore. L’accusa è di aver drogato e violentato una 18enne durante una festa nella sua lussuosa casa vista Duomo, ribattezzata “Terrazza sentimento”. Ai party esclusivi del 43enne imprenditore digitale si arrivava solo su invito, con una rigida selezione all’entrata e con l’obbligo di lasciare il cellulare all’ingresso.
Aperte, invece, le porte della procura e degli uffici della Squadra mobile a diverse ragazze pronte a parlare di quelle serate di alcol e droga. Testimonianze (non ancora formalizzate) che stanno contribuendo a definire un mondo in apparenza segreto e che, in realtà, sembra fosse noto a moltissimi. La prima notizia emersa dai colloqui con gli investigatori è che da anni giravano voci sulla presunta abitudine di Genovese di offrire droga alle sue partner occasionali o - come sostengono altri - addirittura di somministrare sostanze capaci di cancellare la memoria per approfittare della vittima inerme.
Nei prossimi giorni la Procura convocherà come testimoni le persone dell’enturage dell’imprenditore, a partire dal bodyguard, indicato dalla 18enne e da altri invitati come la persona che controllava l’ingresso della stanza patronale. È emerso che anche il ballerino Roberto Bolle, che vive in zona, quella notte esasperato dal fracasso aveva chiamato la polizia.
E sembra possa esistere un collegamento tra l’indagine bolognese chiamata Villa Inferno su festini a base di sesso e cocaina e quella di Genovese.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 12 Novembre 2020, 08:35
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