Coronavirus, caos mascherine: perché la produzione interna non è all'altezza

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di Giuseppe Scarpa
Un ginepraio normativo, una catena distributiva inefficiente, una produzione interna ancora non all’altezza e il costo delle materie prime che lievita alle stelle. Il risultato? Le mascherine continuano ad arrivare con il contagocce. In ospedale si esauriscono in un batter d’occhio, nelle farmacie spesso si fa la fila a vuoto. La famosa produzione interna ancora non soddisfa la domanda, nonostante l’impegno del commissario straordinario Domenico Arcuri. In Italia se ne consumano tre milioni al giorno. Parola di Angelo Borrelli, il capo della protezione civile.

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Per cercare di stimolare l’offerta interna si è modificata la normativa che disciplina la produzione di dispostivi di protezione individuale e medici. Tra cui, appunto, le mascherine. Si è deciso di allargare le maglie. In tempi di pace la fabbricazione è severamente disciplinata da delle norme che culminano con l’autorizzazione del marchio CE. Di solito la trafila per ottenere tutte le concessioni è lunga, ci vogliono mesi. Motivo per cui, in tempi di guerra, si è scelto in Italia di andare in deroga cercando di semplificare l’iter per mettere le imprese nelle condizioni di sfornarle da subito.

In pratica le aziende che si vogliono tuffare in questa attività devono prima presentare un’autocertificazione (“siamo in grado di produrle”) a cui va allegato un atto di un ente certificatore. Infine devono inviare il tutto all’Inail se si tratta di dispositivi di protezione individuale (tute protettive, ad esempio) e all’Iss se si tratta di dispositivi medici (mascherine). Poi si deve attendere il semaforo verde. Tempo stimato una settimana. Non sempre, però, anche in virtù di domande di autocertificazioni che intasano i due enti, si riesce a dare le risposte con le scadenze che ci si era prefissati. Tutto ciò oggi sta creando tre problematiche.

Della prima si è fatto “portabandiera” Attilio Fontana, governatore della Lombardia. Fontana martedì ha sottolineato che nella sua regione esiste “un’azienda che potrebbe realizzare 900mila mascherine al giorno e che potremmo immediatamente distribuire, con tessuti creati dal Politecnico di Milano, ciononostante l’Iss ha chiesto tempo per poter rilasciare la certificazione che ci permette la distribuzione. E’ inammissibile che in una situazione di urgenza come questa ci si faccia ancora ingolfare dalla burocrazia.

Io credo che non si debba dire ‘diamo una risposta tra qualche settimana pensando di farci un piacere’, ma che si dovrebbe dire ‘vi diamo una risposta tra qualche ora’ ”. Il secondo problema è quello relativo ai “pirati”. A chi decide di immettere nel mercato prodotti senza passare da nessun tipo di certificazione. Gli appetiti voraci di molti sciacalli vedono nell’emergenza Covd-19 un’occasione per fare grande business sulla pelle delle persone. “Se si produce senza uno straccio di regola – spiega un investigatore – il rischio è enorme. Magari possono esserci nella fabbrica persone positive al virus, le maschere non vengono sterilizzate, ed ecco che gli stesi prodotti “sporchi”, messi in commercio, possono diventare una fonte di contagio”.

Infine il terzo problema: il reperimento in Italia delle materie prime per poter realizzare le mascherine.
Un piccolo produttore sardo, Giovanni Pasella (Artigianato Pasella), racconta come il prezzo di tessuti ed elastici sia schizzato alle stelle: “Fino a una settimana fa 250 metri di elastico li pagavo 25 euro. Adesso siamo arrivati a 75 euro. Temo che il costo continuerà a salire. La stoffa sta iniziando a diventare introvabile”. La produzione “home made” delle mascherine è sempre più complicata. E perciò siamo ancora troppo legati a quelle “made in China”.

Ultimo aggiornamento: Giovedì 2 Aprile 2020, 09:59
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