Marmolada, si stacca un pezzo di ghiacciaio: 6 morti e 16 dispersi. La strage del clima

L'incidente è avvenuto a Pian dei Fiacconi, dove un distacco di roccia ha provocato l'apertura di un crepaccio sul ghiacciaio

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di Claudia Guasco

Il boato è stato avvertito anche nelle baite più lontane. Poi, la valanga di ghiaccio, rocce e detriti. Un distacco imponente e spaventoso, con un fronte di 300 metri, velocissimo nella discesa, proprio sotto Punta Rocca e la via normale per raggiungere la vetta al confine tra Trentino e Veneto. La Marmolada, montagna della Grande guerra scavata dalle trincee dei soldati, è una delle mete più amate dagli alpinisti. E ieri nel primo pomeriggio, con una temperatura oltre i dieci gradi, erano numerose le cordate in salita e in discesa dirette a Punta Penia e Punta Rocca, le due cime più celebri. «Quando ci hanno chiamato, all’una e mezzo, ci hanno detto: “È venuta giù la cima della Marmolada”», racconta Luigi Felicetti, tecnico del Soccorso alpino dell’alta Val di Fassa intervenuto per soccorrere gli scalatori. «Saliti a 2.500 metri ci siamo trovati davanti a uno scenario pazzesco, c’erano blocchi di ghiaccio e roccia grandi come automobili dappertutto, abbiamo cominciato a cercare e abbiamo estratto le prime vittime».
 

L’ONDA NERA
I morti sono sei: tre italiani, uno della repubblica ceca e due (un uomo e una donna) ancora da identificare. Quattordici i feriti (due gravi) e ben sedici i dispersi. Tra questi molti veneti, trentini, rumeni, cechi e tedeschi. Una delle vittime è un 27enne, Filippo Bari, della provincia di Vicenza. Aveva fatto un selfie prima di arrampicarsi. Nel pomeriggio tutti gli uomini che scavavano tra i detriti sono stati fatti rientrare velocemente, il rischio di altri distacchi è troppo elevato. Le ricerche del soccorso alpino e dei vigili del fuoco proseguono comunque con i droni e gli elicotteri, durante la notte il ghiacciaio resterà illuminato. Ma l’impresa è ardua, ammettono gli esperti sul posto: il seracco si è staccato a 3.000 metri, 343 sotto la vetta, e il fiume di ghiaccio e detriti ha travolto tutto quello che incontrava sul suo percorso per oltre due chilometri. Chi lo ha visto, come Elena, parla di «un’onda nera: inghiottiva ogni cosa a una velocità impressionante, chi si trovava sul suo percorso correva cercando di mettersi in salvo». Nessuno rinuncia alla speranza di trovare persone ancora vive sotto la valanga, ma i soccorritori che conoscono bene la dura legge della montagna non cedono al conforto delle illusioni. La Procura di Trento ha aperto un’inchiesta per disastro colposo, al momento a carico di ignoti, a occuparsi del fascicolo è la pm Antonella Nazzaro: le indagini sono complesse, a cominciare dal riconoscimento delle vittime smembrate dalla colata di ghiaccio e rocce. Bisognerà stabilire se le condizioni meteo rendessero l’ascesa oltremodo rischiosa e definire le eventuali responsabilità. Stando alle prime ricostruzioni, il seracco ha inghiottito due o tre cordate, due in alto, sulla via normale, e anche più in basso, «ci sono blocchi di ghiaccio che vanno dai venti centimetri al mezzo metro ed è difficile che ci siano dei sopravvissuti», dice amareggiato Walter Cainelli, numero uno del Soccorso alpino del Trentino.

 

 

TEMPERATURE ALTE
Nei parcheggi al passo Fedaia si contano le automobili, un triste bilancio di chi manca all’appello. I feriti si sono salvati perché erano lontani dalla valanga, investiti dallo spostamento d’aria e da piccoli detriti. Chi è stato seppellito non ha avuto scampo. Le cordate sono partite di buon’ora per la vetta della Marmolada, la più alta delle Dolomiti. Si può percorrere una ferrata oppure il ghiacciaio, in ogni caso è necessario essere esperti, accompagnati da guide alpine e ben equipaggiati. Come gli scalatori trascinati dalla slavina. «Erano tutti con corde e ramponi, erano attrezzatissimi - afferma Felicetti - sono stati tanto sfortunati». Oppure qualcuno doveva sconsigliare loro, come vogliono accertare i magistrati, che con questo caldo la cima della Marmolada è a rischio cedimenti. «Se volessimo fare un paragone con l’edilizia potremmo parlare di un cedimento strutturale», riflette un vigile del fuoco. Da un mese le temperature raggiungono i dieci gradi proprio in vetta, il Soccorso alpino e speleologico Veneto rileva che «dal 10 maggio a oggi i giorni la cui temperatura media dell’aria tra giorno e notte è andata sotto lo zero solo cinque o sei volte. Nelle ultime settimane lo zero termico ha ondeggiato tra i 4500 ed i 4900 metri sottoponendo le montagne e le masse glaciali a forti stress termici. Già sabato erano evidenti i classici fenomeni di ruscellamento a causa della fusione». 
 

La metà finale delle cordate era il rifugio Punta Penia gestita da Carlo Budel, montanaro nell’anima che piange per le vittime e la sua Marmolada: «Oggi è un giorno triste».

L’ascesa in questo periodo attrae molti appassionati delle scalate, chi abita in zona però è scettico. Racconta un soccorritore: «Proprio due giorni fa con un amico guida alpina ci stavamo organizzando per percorrere questa via. Domenica era il giorno prescelto. Poi ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: no, non è il caso, troppo caldo, il rischio di valanghe è eccessivo. Certo, guardando ora il ghiacciaio dal basso è facile dirlo». Tra i primi a chiamare i soccorsi c’è Aurelio Soraruf, del rifugio Castiglioni: «Ero a tre chilometri dal distacco e il boato ci ha allarmato. Adesso mi aspetto che un’altra parte del seracco venga giù per lo scioglimento continuo». Al Palaghiaccio di Canazei sono state ricomposte le salme e accolti i parenti delle vittime, alcuni famigliari dei dispersi si sono presentati nella speranza di avere informazioni: un numero è dedicato alla segnalazione di mancato rientro di alpinisti dalla Marmolada. Il premier Mario Draghi esprime «il più profondo cordoglio per le vittime» e «vicinanza alle loro famiglie e a tutti i feriti».


Ultimo aggiornamento: Lunedì 4 Luglio 2022, 07:38
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