Ilva allo Stato, no di Gualtieri: il governo tratta con Arcelor

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di Alberto Gentili
Giuseppe Conte è corso a Taranto per mettere la faccia sulla crisi dell'ex Ilva. E dimostrare che «il governo c'è» e «non permetterà mai che l'acciaieria chiuda», così come gli ha suggerito il presidente Sergio Mattarella preoccupato per l'impatto, e il possibile effetto a catena, che avrebbe la fuga di ArcelorMittal sul sistema industriale italiano. Ma la folla, davanti ai cancelli, ha chiesto al premier di chiudere la fabbrica, non di difenderla. E agli operai che invece vogliono conservare il posto di lavoro, Conte ha confessato candidamente di non avere «una soluzione in tasca».
Il governo è in cul de sac. Il piano A resta costringere ArcelorMittal a restare. «Questa è la strada maestra», spiegano a palazzo Chigi, «l'imperativo dell'intero esecutivo è costringere il colosso franco-indiano a rispettare il contratto che ha firmato appena un anno fa».

Ex Ilva, i cittadini di Taranto a Conte: «Vogliamo la chiusura»
 


Però, visto che non c'è un solo ministro o un solo partito di maggioranza che punti alla querelle giudiziaria («durerebbe anni, sarebbe una sconfitta per tutti», osservano nell'entourage di Conte), l'intenzione del premier, del ministro dell'Economia Roberto Gualtieri e del responsabile dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli è spingere ArcelorMittal a trattare. A rinunciare al proposito, annunciato urbi et orbi, di fare la valigie. E di abbandonare l'Italia una volta per tutte, visto che perde 60 milioni al mese e Moody's minaccia di declassarla.
Nell'incontro che dovrebbe svolgersi lunedì - ma fino a ieri sera Conte non ha chiamato Lakshimi Mittal per invitarlo a palazzo Chigi - il governo è pronto a manifestare la volontà di venire incontro alle richieste del colosso franco-indiano. Concedendo non i 5 mila esuberi richiesti da ArcelorMittal, ma «non più della metà», dice un ministro che segue il dossier.
Questa disponibilità verrebbe accompagnata dal sì dell'esecutivo a rivedere il piano industriale, con una contrazione della produzione dell'acciaio, rispetto ai 6 milioni di tonnellate garantiti dal contratto. Più il varo dello famoso scudo penale: la norma che fa venire il maldipancia a numerosi parlamentari grillini e che spinge Luigi Di Maio (preoccupato per la tenuta del Movimento) a lanciare un nuovo avvertimento al Pd e a Italia Viva, favorevoli a garantire la tutela in modo da togliere alibi ai franco-indiani: «Se viene presentato un emendamento sullo scudo è un problema per il governo».
 
 


E lo sarebbe davvero. Enorme. Mettere la fiducia sul provvedimento con l'immunità, rappresenterebbe per Conte un rischio mortale: in Senato i ribelli grillini guidati dalla Lezzi non la voterebbero. Come mortale sarebbe il sì allo scudo penale con i voti decisivi di Lega, FdI e Forza Italia. «In quel caso sarebbe crisi», confida un ministro dem.
I vertici e i legali di ArcelorMittal osservano la situazione con un perplessità e scetticismo. Si dicono disposti a trattare «se il governo farà proposte ragionevoli». Allo stesso tempo però giudicano dannose le dichiarazioni di Di Maio contro lo scudo penale e l'accusa di inadempienza lanciata da Gualtieri.
In questa fase di stallo alcuni ministri sono corsi a proporre la nazionalizzare dell'ex Ilva: il grillino Patuanelli («privatizzarla è stato un errore»), i dem Paola De Micheli (Trasporti) e Francesco Boccia (Affari regionali), l'esponente di Leu Roberto Speranza (Salute). Conte invece si limita a non escluderla: «Non ha senso parlarne ora, aspetto una proposta dal signor Mittal».

IL MEZZO BLUFF
In realtà la mossa di gettare sul piatto l'ipotesi di nazionalizzare la prima acciaieria d'Europa è solo tattica. Oppure un'extrema ratio. Ed è un modo per far credere ai franco-indiani che il governo ha una soluzione alternativa e dunque spingerli ad abbassare le pretese. Ma sia Gualtieri che il suo vice Antonio Misiani fanno capire che questa soluzione non esiste. E non ha senso. Perché troppo costosa. E perché prefigurerebbe una forma di aiuto di Stato vietato dall'Unione europea. «Nazionalizzazione? La prospettiva del governo è che ArcelorMittal adempia ai propri impegni, attui il piano industriale e ambientale e faccia gli investimenti promessi», dice il ministro dell'Economia. E Misiani: «Evocare piani B o C è sbagliato, dobbiamo negoziare con l'azienda franco-indiana a farla tornare indietro».
Il problema è che soluzioni alternative al momento non ce ne sono. Proprio ieri il gruppo indiano Jindal, che faceva parte della cordata Acciaitalia con Cdp, Arvedi, Del Vecchio sconfitta nel 2018 da ArcelorMittal, si è chiamato definitivamente fuori. Così cade anche l'ipotesi indicata da Matteo Renzi. Conclusione: se il governo non riuscirà a tenere il colosso franco-indiano in Italia, gli stabilimenti di Taranto, Genova e Novi ligure torneranno ai commissari. Per poi tentare una nuova gara d'appalto. Nel frattempo l'esecutivo dovrà tirare fuori altre centinaia di milioni per tenere in piedi quel che resta della siderurgia italiana.
 
Ultimo aggiornamento: Sabato 9 Novembre 2019, 09:00
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