Erika e Omar, 20 anni fa il delitto di Novi Ligure. La nuova vita degli assassini

Erika e Omar, 20 anni fa il delitto di Novi Ligure. La nuova vita degli assassini

di Flaminia Savelli

Una notte infinita. La notte più buia: è il 21 febbraio del 2001 quando a Londolino, a Novi Ligure in provincia di Alessandria, si scatena l’orrore. Un quartire ordinato tra case e villette a schiera abitato da 29 mila persone. Alle nove di sera le grida di una ragazza squarciano il silenzio di questa periferia piemontese: alta, esile, bionda, sta urlando in mezzo alla strada, via don Beniamino Dacatra all’altezza del civico 12. Chiede aiuto, è disperata. Ferma una macchina e indica casa sua, un'elegante bifamiliare color salmone: si chiama Erika De Nardo, ha 16 anni ed è l’unica superstite di una terribile strage. Sua madre Susanna Cassini di 43 anni, e suo fratello Gianluca, di appena 12 anni, sono stati brutalmente assassinati. Nella villa degli orrori lo spettacolo è raccapricciante: il bambino è nella vasca da bagno al secondo piano, nell’acqua rossa di sangue. La mamma invece è stesa a terra in cucina, deve aver lottato per difendersi prima di soccombere sotto la mano assassina dei due banditi. Il papà della giovane invece, Francesco De Nardo, un ingegnere di 44 anni che dirige uno degli stabilimenti dolciari della Pernigotti, mentre in casa sua si scatenava l'inferno stava giocando una partita di calcetto.

La pista albanese

I carabinieri del comando provinciale di Alessandria e il procuratore capo Carlo Carlesi sono incaricati delle indagini. Gli investigatori ascoltano Erika, è un fiume in piena mentre ricostruisce quei drammatici istanti e il quadro è da subito piuttosto chiaro: si tratta di una rapina finita nel sangue. La ragazzina poi fornisce pure elementi utili sui killer, si tratta sicuramente di stranieri. Forse albanesi. Racconta che intorno alle otto di sera si trovava in casa, nella sua camera, quando due uomini armati di coltelli hanno fatto irruzione. Dice che hanno prima aggredito mamma Susanna e poi suo fratello, Gianluca. Lei è viva per miracolo: scappata dalla porta del garage, ha raggiunto la strada e quindi ha chiamato i soccorsi. Intanto sulla scena del crimine insieme al medico legale arriva anche il capo dei Ris, Luciano Garofano. I due cadaveri vengono trasportati all’obitorio del’ospedale di Novi. E' la mattina del 22 febbraio, durante l'autopsia il medico legale conta 40 coltellate inferte sul corpo della donna e ben 57 sul corpicino del piccolo Gianluca. Una violenza senza precedenti si è scatenata sul ragazzino che non ha avuto scampo. Il paese intero è scosso e scatta la caccia ai colpevoli: tutti credono a Erika, tutti puntano il dito conto gli stranieri ancora senza un volto e senza un nome.

Il sospetto

Appena un giorno dopo il delitto il caso è già a una prima svolta. Al comando dei carabinieri, gli investogatori mostrano le foto di alcuni sospetti. La testimone dice di riconoscere uno degli assassini in quella mazzetta di foto segnaletiche. Una macchina dei carabinieri corre a sirene spiegate e arrivata a casa del sospettato lo prelevano. Sono certi che sarà proprio lui a condurli dal complice. I carabinieri gli fanno domande a raffica ma ha un alibi di ferro e in molti possono testimoniare che mentre Susanna e Gianluca venivano brutalmente assassinati, lui si trovava dalla parte opposta della città. Erika si è confusa forse, a causa del forte choc. O forse c’è dell’altro, almeno per gli investigatori e gli uomini del Ris. Non riescono a chiarire alcuni punti importanti a cominciare dall’irruzione nella villetta dove non vengono riscontrate forzature alle porte. Poi non riescono a spiegare perché i banditi abbiamo deciso di agire proprio a quell’ora, quando tutte le famiglie sono a casa per la cena. Infine c'è l'efferattezza del crimine: perché massacrare un bambino di 12 anni? Più di un dubbio. Più di un sospetto che dietro i delitti di Novi Ligure, ci sia dell'altro: i militari iniziano a indagare nella famiglia Di Nardo. Tra i rapporti che legavano Erika alla madre e al fratellino. E poi a Omar, il fidanzatino. Susanna, “Susy” per gli amici, era una ragioniera prima di diventare mamma, è una fervente cattolica e per un periodo insegna anche catechismo. Gianluca è un bambino sereno, gioca a calcio ed è molto bravo a scuola. Erika invece a scuola ha molti problemi. Comincia il liceo scientifico, non ce la fa e passa all'Istituto privato San Giorgio, uno dei più esclusivi di Novi, è molto intelligente ma è svogliata e negli ultimi mesi è cambiata. Sempre più bella e sempre più donna si è fidanzata con il figlio del barista, Mauro Favaro che tutti chiamano “Omar”. Sono inseparabili anche se i coniugi De Nardo non approvano: si accendono violente discussioni nella villetta di via Dacatra con mamma Susy che tenta di mettere un freno alla voglia di libertà dei fidanzatini.

La svolta

Molte incongruenze, troppi dubbi sul movente. La pista albanese si raffredda appena 48 ore dopo il delitto. I carabinieri convocano invece i fidanzatini di Novi Ligure: è il 23 febbraio, sono le 13.30, Erika e Omar attendono in caserma di essere ascoltati nel parlatorio del Ferrante Aporti di Torino. Non sanno che la sala d’attesa è piena di microspie e microfoni. Pensano di essere soli, ma in realtà gli investigatori sentono e vedono tutto. La prima a parlare è la ragazza: «Io ho sempre ragione», dice Erika. Iniziano a preoccuparsi del presente, come la falsa accusa agli albanesi e il falso identikit. Dice Omar: «Occhio alla piantina. Erika, quel disegno lì devi farlo bene». Il dialogo si fa più fitto e a questo punto, a sua insaputa confessa, la ragazzina confessa: «Non ci scopriranno. Dobbiamo soltanto fare attenzione a mio padre che potrebbe aver capito qualcosa. Non hanno prove che siamo stati noi, non lo possono dire. Se dicono che c’è il tuo… non sei stato tu, non ci pensare più. Se il tuo Dna è mischiato a quello di mio fratello, viene fuori un altro Dna. Non sono scema e neanche ingenua. Io dico che va tutto bene. Ti chiederanno dove sei stato, se gli dici che non sei stato tu io rimango come testimone».

La confessione

Quindi iniziano gli interrogatori. Dopo aver tentato di negare, alla fine cedono. Ma uno accusa l’altro. Omar racconta: «Verso le 19.30 siamo arrivati a casa di Erika. Io ho nascosto il motorino e lei è entrata a casa. Abbiamo aspettato che il padre uscisse e poi io sono entrato dalla taverna. Erika mi ha dato dei vestiti nuovi per non sporcare i miei. Ha poi tirato fuori i coltelli dicendo: “tu tieni questo, io questo”. Il piano era che appena apriva la porta dovevamo colpirli, la madre e Gianluca. Da come Erika l’aveva spiegato pensavo fosse una cosa semplice. Io ero nascosto in bagno al piano terra, a luce spenta con il coltello in mano. Quando la madre è entrata mi ha riconosciuto. Io non l’ho colpita, ho spinto la porta ed è stata Erika a colpirla. Quando ho riaperto la porta ho visto che lei e sua madre erano una sopra l’altra. Visto che non ero stato capace di colpire per primo, l’ha colpita lei. Ho visto Erika in difficoltà.

Sentivo la sua voce che diceva: “Colpiscila! Colpiscila!”, “Aiutami, intervieni” diceva. Allora sono intervenuto io. Ho tolto il coltello a sua madre e lei mi ha morsicato il pollice. Quando l’ho staccata l’ho colpita con due, tre colpi. Gridava: “ Erika cosa fai? Erika ti perdono…”. Ma Erika continuava a colpirla, gridando “Muori, Muori!”. Le coltellate non mi ricordo, saranno state 20, 25. Io ne ho date due o tre. Nel fianco, dalla pancia della signora usciva molto sangue. Erika aveva poi tentato di avvelenare il fratello con il veleno per topi, su nella camera dove stava, ma non c’era riuscita. Allora ha cercato di annegarlo nella vasca da bagno. Non avevamo parlato di annegarlo. Erika ha aperto la vasca e ha detto: “Adesso lo anneghiamo!”. Io l’ho preso per le braccia e lei per i piedi, forse non ce la faceva a colpirlo, però alla fine l’ha ucciso colpendolo. Lui era molto forte. Piangeva. Gridava. “Lasciatemi stare!” poi l’ho colpito. A quel punto ho detto “Me ne vado!”. “Come te ne vai?” ha detto Erika: “Mi lasci qui? E mio padre non lo uccidiamo?”. Le ho risposto:”Se vuoi farlo, uccidilo te da sola. Io me ne vado. Non ce la faccio più”… ». Erika invece afferma: «È inutile continuare a negare: ho ucciso anche io mia madre e mio fratello. A lei ho dato una coltellata nella schiena dopo che Omar l’aveva già colpita al petto. Avevamo deciso in ottobre di uccidere tutto anche mio padre. Mia madre si è trovata Omar di fronte all’improvviso. Lui l’ha colpita al petto, io le ho dato una coltellata nella schiena. Colpivamo con una tale furia che a Omar è sfuggito il coltello di mano. Sono stata io a finire mia madre anche se ho dovuto chiedere a Omar di aiutarmi perché da sola non ce la facevo. Sentendo gridare mamma Gianluca è corso giù e poi impaurito, è fuggito a nascondersi in camera mia. Abbiamo cercato di annegarlo nella vasca, ma lui ci è sfuggito… lo abbiamo inseguito in corridoio e colpito più volte e infine riportato in bagno… non so perché l’ho fatto. Forse in quel momento».

Le prove

Anche le prove sono inconfutabili: entrambi hanno colpito sia la donna, sia il bambino. Entrambi si sono accaniti sui loro corpi. Poi hanno cercato di nascondere le prove più evidenti. I coltelli usati per uccidere sono stati lavati, cancellate le impronte digitali. Non sono riusciti invece a confondere le impronte dei piedi rimaste impresse nel sangue che imbrattava la casa e questo ha consentito agli esperti di ripercorrere i loro movimenti, la loro furia omicida. Questa dunque la sequenza: Susy Cassini torna a casa insieme a Gianluca intorno alle 20, suo padre è già uscito per andare alla partita. Quando le vittime rientrano in casa, Omar è armato di coltello in bagno, Erika pure è armata. Si scagliano contro la mamma il sangue schizza e macchia i vestiti. Per le grida Gianluca scende le scale, è atterrito poi fugge di sopra. I piedi dei due assassini lasciano tracce sulle scale, c' è sangue pure sul muro. Il segno delle mani che si appoggiano per agevolare la corsa. Gianluca entra nella camera di Erika, riceve le prime coltellate. Scappa, cerca rifugio nel bagno, è la fine. Mentre riempie la vasca, Erika cerca di fargli bere del topicida, poi lo butta nell’acqua e tenta di affogarlo. La furia dei due giovani diventa bestiale. Colpiscono di nuovo, fino a ucciderlo. I due ragazzi tornano al piano terra, cercano di lavare il sangue, ma non ci riescono. Alle 20.50 si dividono: Omar esce dalla porta principale. Erika passa invece dal garage ma prima getta delle bottiglie a terra per simulare la lotta. I suoi piedi lasciano le impronte sul pavimento e anche in questo caso gli esami confermano: sono le tracce lasciate da una persona che non corre, ma cammina.

L'accusa

Appena 48 ore dopo il delitto i due ragazzi vengono incriminati di duplice omicidio. I legali chiedono le perizie psichiatriche, poi anche quelle tossicologiche. Ma non c’è la droga dietro quella mattanza, i due erano lucidi e da mesi parlavano del delitto. Per tutti e due scatta la custodia cautelare al carcere minorile di Torino. Il giudice per le indagini preliminari è Cesare Castellani, il pubblico ministero è Livia Locci. Durante il processo i fidanzatini si accusano a vicenda. La sentenza arriva il 14 dicembre del 2001: la condanna è 16 anni per Erika e 14 per Omar. Il 30 maggio del 2002 la prima corte d’Appello conferma le condanne e poi, in via definitiva, il 9 aprile del 2003 la corte di Cassazione. Il gip di Torino, Cesare Castellani, ordina la perizia psichiatrica: un fascicolo di 400 pagine redatto dai professori Gustavo Charmet, Adolfo Ceretti e Alessandra Simonetto che hanno tracciato il percorso criminale compiuto da Erika e Omar. Una relazione lunga e dettagliata che disegna la figura di due ragazzi apparentemente normali che all’ improvviso si sono trasformati in assassini. E che senza pietà hanno ammazzato con 97 coltellate la madre e il fratellino di lei. La ragazza, una volta davanti ai magistrati, ha cominciato ad ammettere di aver avuto un ruolo nell’ omicidio di sua madre e, sia pur marginalmente, in quello del fratello. Si è posta comunque in posizione defilata rispetto a Omar. Che ha sempre negato di aver accoltellato Gianluca, riconoscendo di aver colpito soltanto la donna. Nelle pagine consegnate comunque entrambi vengono definiti pienamente capaci di intendere e di volere.

Il movente

Secondo i medici il movente non è un movente classico, ma psicologico: hanno bisogno di diventare un mito e per questo si pongono un obiettivo preciso. Il loro fine è spietato: eliminare tutti gli ostacoli che impediscono a entrambi di raggiungere la libertà, l’ indipendenza assoluta. L’intreccio di paure reciproche dà poi vita a una coppia diabolica. I periti definiscono i pomeriggi che Erika e Omar trascorrono insieme indifferenziati e seriali: si incontrano ogni giorno e seguono sempre lo stesso schema. Lui va a prenderla a casa, si fermano dal tabaccaio per comprare le sigarette, poi vanno nell’appartamento di lui. Si chiudono in camera e lì hanno rapporti sessuali per ore. Come la stessa Erika ha confessato c’è poi l’elemento della premeditazione. Da molto tempo avevano messo a punto il loro progetto criminale, dal mese di ottobre avevano cominciato a parlarne. Danno sfogo alle loro fantasie più segrete, si confrontano e alla fine si scoprono d’accordo sulla realizzazione di un piano comune. Un progetto criminale che prevede appunto l’eliminazione di tutti gli ostacoli che non consentono loro di vivere senza vincoli e imposizioni.

Liberi

Il 3 marzo del 2010 Omar torna libero con uno sconto di pena per buona condotta. Il 5 dicembre del 2011, dopo poco più di dieci anni di carcere viene disposta la scarcerazione anche di Erika per buona condotta. Entrambi si sono trasferiti: Omar oggi è un barista. Erika, laureata in carcere in Lettere e filosofia, invece lavora in un negozio di dischi. Il padre della giovane non l’ha mai abbandonata.


Ultimo aggiornamento: Domenica 21 Febbraio 2021, 19:38
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