Uccide la moglie malata di Alzheimer, condanna confermata: per la Cassazione non c'è attenuante etica

Uccide la moglie malata di Alzheimer, condanna confermata: per la Cassazione non c'è attenuante etica
Confermata dalla Cassazione la condanna a sette anni e otto mesi di reclusione, senza concessione dell'attenuante di aver agito per motivi di particolare valore etico, nei confronti di un pensionato che nel 2014 a Firenze uccise la moglie di 88 anni afflitta da Alzheimer.



Per i supremi giudici - con un verdetto all'indomani dell'invio alla Consulta del tema caldo del suicidio assistito - sull'eutanasia non si registra ancora nella società «un generale apprezzamento positivo», anzi ci sono «ampie correnti di pensiero che la contrastano», una situazione insomma «che impone» di non concedere l'attenuante etica. Senza successo, la difesa di questo pensionato fiorentino, G.V., nato nel 1931, ha chiesto alla Suprema Corte di considerare come un valore condiviso «quello di porre fine alle sofferenze della persona, conformemente ai suoi desideri espressi in vita, rimarcandosi, al riguardo, le differenze con l'eutanasia» perchè in questo caso «sussisteva l'ulteriore elemento» di aver posto fine «alle sofferenze di un soggetto amato».

Inoltre nel ricorso i legali dell'imputato, al quale è stato riconosciuto anche dalla Cassazione di aver preso una decisione «disperata» quando era ormai «incapace di sopportare le sofferenze e l'inarrestabile decadimento fisico e cognitivo della moglie», hanno fatto riferimento ai paesi europei che hanno legalizzato l'eutanasia e il suicidio assistito, alle sentenze Cedu sul diritto a decidere come morire, a un sondaggio Eurispes da cui emerge il favore degli italiani per l'eutanasia. Hanno poi ricordato che l'Inghilterra ha introdotto l'aiuto al suicidio per compassione, sanzionandolo in maniera più lieve. Ma niente ha fatto breccia. Miglior sorte non ha avuto l'argomento per cui G.V. avrebbe ucciso la moglie, totalmente demente e non più in grado di camminare, per evitare, una volta che lui fosse morto, che il peso di assisterla ricadesse sulle figlia dal momento che non ci sono strutture pubbliche che fanno questo.

Ad avviso della Cassazione, è da «escludere che la consapevolezza della carenza di pubbliche strutture idonee a coadiuvare la famiglia nell'assistenza di congiunti gravemente malati, e senza possibilità di guarigione, commista alla preoccupazione di gravare sulla vita di altri congiunti, pure se moralmente e giuridicamente obbligati verso la persona malata, possa generare, secondo la coscienza etica prevalente nella collettività, la spinta volta a sopprimere la vita dell'infermo quale motivo di particolare valore morale e sociale».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 15 Febbraio 2018, 19:22
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