Tre sorelle suicide, in una lettera accuse al fratello: «Truffate sull'eredità e ridotte in miseria»

Tre sorelle suicide, in una lettera accuse al fratello: «Truffate sull'eredità e ridotte in miseria»
Piera, Valeria e Gabriella Ferrero si sono suicidate insieme a Carmagnola, a una trentina di chilometri da Torino. Una storia drammatica, per tre sorelle che avevano già tentato di uccidersi il 20 luglio 2015, ma che all'epoca erano state salvate dai carabinieri: la tragica verità sui motivi che hanno spinto le tre donne a togliersi la vita, è emersa da un biglietto lasciato da Piera, 68 anni, che si è uccisa in casa sua dopo che Valeria e Gabriella (67 e 54 anni) si erano impiccate in un altro casolare di loro proprietà.
 
 

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Nella lettera, Piera punta il dito contro tre avvocati e contro il fratello Aldo, titolare di una macelleria di carne equina: secondo il punto di vista delle tre sorelle, i tre avvocati le avrebbero truffate sull'eredità proprio per conto del fratello. Ma tutte le sentenze hanno dato ragione all'uomo: una disputa familiare finita in Tribunale e arrivata sino in Cassazione, ed è di questi giorni la sentenza della Suprema Corte che ha dato torto definitivamente alle sorelle. E ha messo all'asta un immobile per alcune decine di migliaia di euro.

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Con Aldo, ascoltato per ore dai carabinieri, i rapporti avvenivano esclusivamente tramite carte bollate.
Tramite i suoi avvocati, era la convinzione delle tre donne, le aveva ridotte sul lastrico. Riuscendo ad accaparrarsi appartamenti e terreni. Si ritenevano truffate, quindi. Presunte vittime di un raggiro che si andava a sommare alla profonda solitudine. «Persone particolari - dicono i vicini - Le si vedeva giusto la sera, quando uscivano in bici». Senza marito, senza figli, vivevano l'una per l'altra. E il loro mondo finiva lì. «Non parlavano mai - raccontano - Salutavano a stento. E proprio se non potevano fare altrimenti».

 
 

Una quarta sorella era morta due anni fa per cause naturali. Nel 1994, inoltre, Piera aveva denunciato un'altra truffa. Aveva chiamato 'Striscia la Notizia' accusando il sindaco di Carmagnola di averle chiesto una tangente di 50 milioni di lire per costruire una strada sul suo terreno. Una denuncia che le era costata un'accusa di calunnia. Si sentivano accerchiate dal fratello, dagli avvocati, dai giudici, dai residenti e dall'amministrazione di Carmagnola. Un fantomatico assedio. A cui hanno deciso di sfuggire con la morte. 
Ultimo aggiornamento: Venerdì 7 Febbraio 2020, 12:30
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