Torino, chi è Said Machaouat: il marocchino che ha ucciso Stefano Leo, dai kebab alla depressione

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di Emilio Orlando
Freddo, sguardo penetrante, paranoico. Said Machaouat, il 27enne di origini marocchine che ha ucciso Stefano Leo sul lungopo dei Murazzi, a Torino, è una personalità complessa. Zeppo di problemi, soprattutto con la moglie e la vita coniugale, Said. L'uomo, dopo aver raccontato al magistrato la sua vita, ha confessato di esser stato lui a tagliare la gola dello studente con un colpo di macellaio. «Si, l'ho ucciso io quel ragazzo ai Murazzi, Stefano»: le sue parole quando si è costituito, l'altro giorno, in questura in corso Vinzaglio, accompagnato dal suo legale. Da qui l'uomo è stato condotto nella caserma dei carabinieri che stanno seguendo l'indagine. Quando lo portano via, in tarda serata, ai fotografi che assediano l'auto dei carabinieri mostra il segno delle corna.

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Machaouat, finito a spacciare, più volte segnalato da polizia e carabinieri, era caduto nel vortice della depressione. Senza una casa e senza una famiglia, viveva nel dormitorio di piazza d'Armi, a quattro chilometri dal luogo dell'omicidio. Questo è l'identikit dell'assassino. Nato in Marocco, a Casablanca, nel gennaio del 1992, è arrivato in Italia quando aveva sei anni. Per un lungo periodo ha avuto una vita normale. Moglie italiana, un figlio che oggi ha quattro anni, la cittadinanza italiana. Un lavoro come cameriere in una pizzeria kebab. Improvvisamente, nel 2015, il mondo gli crolla addosso. Denunciato anche per maltrattamenti in famiglia, a Said viene vietato di vedere il bambino, che ora vive con il compagno dell'ex moglie. Un'ordinanza del giudice per i minori gli impedisce di avvicinarsi alla sua famiglia, i servizi sociali si occupano di lui. Da questo alla follia è un attimo. Ma, dice il direttore dell'Ufficio diocesano della Caritas di Torino Pierluigi Dovis, «la povertà non basta per spingere una persona a una tale follia. Se non fosse stato povero avrebbe avuto altre possibilità per dirottare la sua infelicità e la sua rabbia contro il mondo». «Il dramma di Torino - sostiene ancora Dovis - riguarda la solitudine che oggi, in una società che appare più sfilacciata, patiscono le persone con forti disagi interiori, che cadono nella disperazione perché incapaci di far fronte all'affastellamento di problemi e disgrazie personali». Una Torino «sempre solidale ma che come tutte le grandi città - chiude l'assessore comunale al Welfare Sonia Schellino - diventa luogo di attrazione di persone fragili».

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Ultimo aggiornamento: Martedì 2 Aprile 2019, 09:21
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