Terremoto centro Italia: a tre anni dal sisma nulla è cambiato. «Ci sentiamo terremotati di serie B»

Terremoto centro Italia: a tre anni dal sisma nulla è cambiato. «Ci sentiamo terremotati di serie B»

di Lorenzo Capezzuoli Ranchi
Le strade deserte, le curve che si insinuano su per il fianco delle colline. Poi, d’improvviso, le macerie. Chi oggi percorre la Salaria e decide di inerpicarsi verso l’interno, verso Arquata del Tronto, non potrà fare a meno di incontrare questo spettacolo prima o poi. E così appaiono le Sae, soluzioni abitative di emergenza, ora residenze per centinaia di persone che tre anni fa hanno perso la loro casa. Per chi non conosce questo territorio i vari borghi Sae, piccole periferie sparse intorno alle macerie dei paesi che furono, sembrano deserti silenziosi. Finché un gatto rosso non attraversa la strada di corsa, a testimonianza che vita c’è. E così ci si rende conto che i vari borghi sono ancora vivi. Scoraggiati, forse, ma vivi.
 
 


La popolazione in questi luoghi si è dimezzata. In molti sarebbero voluti rimanere, altri non hanno potuto invece fare altro: «Tanti sono andati via perché non avevano altro modo, e la costruzione delle casette di emergenza ha avuto tempi abbastanza lunghi» racconta Federica Angelucci, la cui famiglia ha un ristorante a Trisungo, frazione di Arquata del Tronto. Anche la clientela del ristorante è cambiata: «Durante l’emergenza venivano in molti a mangiare qui, poi subito dopo sono cominciate ad arrivare le persone che passavano per dare una mano, magari per spendere dei soldi qui dopo il sisma. Ora la clientela sta tornando ad essere meno che prima del sisma». In una delle sale del locale, è esposta una mappa dell’Italia, con tutte le targhette delle compagnie dei Vigili del Fuoco che hanno prestato servizio in zona. «Era cominciato per gioco con i pompieri di Bologna, e poi abbiamo continuato», racconta la 27enne secondo cui, a tre anni dal sisma la situazione rimane ancora complicata. «Se prima eravamo già messi in disparte perché non eravamo di Amatrice, adesso sembra come ci stessero tutti mettendo nel dimenticatoio». E ad oggi, nonostante la determinazione nel voler far ripartire un intero territorio, c’è solo un concetto: «Quello che viene, viene».

La rassegnazione. C’è stato il tempo del dolore, della paura, della rabbia, della voglia di darsi da fare. Perfino il periodo del timore è passato sulle teste e sulle vite delle popolazioni colpite dal terremoto del centro Italia. Ora, a tre anni di distanza, una nuova sensazione passa su molti di coloro che hanno cercato di non abbandonare le loro città e i loro paesi. Una rassegnazione che forse è anche più evidente sui volti di quegli stessi terremotati che oggi si sentono terremotati di serie B: Arquata del Tronto, Pescara del Tronto e tutte le loro diverse frazioni, abbandonate e quasi messe nel dimenticatoio dall’Italia. Amatrice è la città-simbolo del sisma del 2016, anche per i suoi 239 morti, ma altre città marchigiane hanno subito più danni rispetto ai vicini laziali. E per questo in molti si sentono su un piano inferiore rispetto ai vicini. «Le luci ora si riaccenderanno per poche ore. Poi torneremo nel buio per un altro anno». Don Nazzareno Gasperi, il parroco di Arquata, non usa mezzi termini per rappresentare vividamente la situazione che i suoi parrocchiani vivono. «Quando sono arrivato qui, nel 2017, sentivo la disperazione della popolazione di Arquata: il dolore per la perdita di persone care, che si sente ancora di più nelle piccole comunità come la nostra, unita allo choc di aver perso la propria casa ha distrutto le vite e gli animi della zona», racconta. Secondo Don Nazzareno dall’anno scorso poco è cambiato: «Tutto si era fermato e tutto è ancora fermo: qui dobbiamo ancora togliere le macerie. Quando ho sollecitato, mi hanno risposto “Adesso lo faremo, che fretta c’è?”». E la conferma della percezione: «Noi non ci sentiamo terremotati di serie B, noi lo siamo: pensi che l’anno scorso è venuto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte solo all’ultimo momento, e in teoria si sarebbe dovuto fermare solo ad Accumoli e ad Amatrice». Secondo il parroco di Arquata del Tronto, proprio la cittadina laziale è riuscita ad avere un maggiore impatto mediatico e per questo «Quando si parla del sisma del centro Italia si parla del terremoto di Amatrice, e per questo loro sono più avanti di noi» nel riprendere la vita quotidiana: «Le macerie le debbono levare anche lì, e la ricostruzione è ferma così come è qui da noi, ma almeno loro hanno il polo commerciale e dei ristoranti, che attraggono un sacco di gente».

Per quanto riguarda il futuro, per tutti regna l’incertezza. Don Nazzareno fa fatica a capire come sarà il domani di Arquata: «Sicuramente ci sarà un futuro, ma ancora non si sa come saranno ricostruiti questi borghi. Io immagino una comunità compatta e allargata, pur sapendo consapevolmente che le cose qui non torneranno mai com’erano prima. Alcuni poi non torneranno più: chi ha figli in età scolare che magari si sono trasferiti ad Ascoli o sulla riviera difficilmente torneranno qui». Le necessità principali? «La casa. La tua casa: le Sae non saranno mai una vera casa. Qui c’erano tutte case grandi, con orti, aie e spazi verdi. Ci mancano i nostri spazi», sospira Don Nazzareno. Anche la concezione del futuro stesso in queste zone è cambiata: «Avendo vissuto un evento come questo - racconta Federica - sai che tutto può finire in un momento. Devi cercare di vivere al meglio la giornata, sperando che la gente torni qui».

E mentre le diverse frazioni vengono smembrate nei vari villaggi Sae, cercando di ricostruire una parvenza di vita normale accanto alla via Salaria, il segno del sisma rimane anche nei cuori e negli occhi di chi ha vissuto una vita in queste zone: «Pretare e tutte quelle zone vicino Arquata - racconta una signora anziana ad Acquasanta Terme - erano i luoghi di villeggiatura estivi. Io sono cresciuta lì, ma dopo il terremoto non sono più tornata. Troppo dolore».
Ultimo aggiornamento: Sabato 24 Agosto 2019, 08:45
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