Si è suicidato in carcere l'uomo fermato per aver ucciso la moglie

Xhafer Uruci si toglie la vita in cella qualche ora dopo aver ammazzato la moglie Zenepe

Si è suicidato in carcere l'uomo fermato per aver ucciso la moglie

di Nicoletta Gigli

Si è impiccato nella cella dove era rinchiuso dalla notte di giovedì dopo aver ucciso la moglie a coltellate. Xhafer Uruci, in carcere con l'accusa di omicidio volontario aggravato, era in attesa dell'interrogatorio di garanzia. Dopo aver finito a coltellate la moglie Zenepe, 56 anni, aveva atteso l'arrivo dei poliziotti con le mani ancora sporche di sangue e non aveva opposto resistenza.

"Ho sbagliato, a che serve l'avvocato. L'ho ammazzata io" ha ripetuto in questura durante l'interrogatorio.

Arrivato a Sabbione a mezzanotte e mezza è stato sistemato nella seziione destinata all'accoglienza dei detenuti. Nella notte avrebbe usato il lenzuolo per togliersi la vita. 

«Zenepe da qualche mese viveva nel terrore. Si era confidata, aveva raccontato delle continue liti col marito che non voleva che uscisse di casa neppure per andare al lavoro. Quando l’ho vista con un occhio nero mi ha assicurato che lui non c’entrava, che aveva battuto su uno spigolo».

Femminicidio a Terni, donna uccisa a coltellate dal compagno durante una lite

 

L’amica del cuore oggi piange lacrime amare e si sente in colpa per non essere riuscita ad aiutare Zenepe. Che non poteva ricevere messaggi o telefonate “strane” sennò lui andava su tutte le furie. Guai a scambiare una battuta con i clienti della pescheria, col marito che spesso si aggirava nella zona con lo sguardo torvo per tenere sotto controllo ogni movimento di sua moglie. Che viveva per i figli e gli adorati nipoti e riusciva ad avere qualche ora di serenità solo quando era nella cucina della pescheria. Lei, che non poteva avere un profilo social, da anni viveva ingabbiata in una mentalità senza possibilità di fuga.

Oggi chi l’ha amata si dispera per non averla aiutata a uscire da quel tunnel fatto di violenza e soprusi. Per non aver insistito perché lei denunciasse, per non essere stato in grado di indicarle che un’altra vita era possibile, che lei se la meritava un’altra vita.

«Xhafer è mio marito. Devo rimanere con lui fino alla fine».

Una frase che Zenepe ha pronunciato chissà quante volte agli amici più stretti prima di finire ammazzata come un cane nella casa della coppia.

Un femminicidio annunciato quello di Zenepe Uruci, 56 anni festeggiati in famiglia domenica scorsa. Finita nella cucina di casa da Xhafer, 62 anni, che poi si è tolto la vita in cella. Dopo l’ennesima lite lei prova a chiamare il figlio Diamant, che assiste in diretta telefonica ai colpi sferrati dal padre con un coltellaccio per tagliare la carne con la lama lunga trenta centimetri.

La aggredisce alla spalle e poi parte con cinque fendenti in rapida sequenza inflitti tra il torace, la spalla e il collo.

Col colpo letale che ha reciso la giugulare.

Nella casa di via del Crociere, a Borgo Rivo, resta solo il sangue e il dolore inconsolabile dei figli che non si danno pace per non aver trovato il modo di sottrarre la madre alla cieca violenza per mano di chi l’avrebbe trattata come un oggetto di sua proprietà.

 

Lui, Xhafer Uruci, 62 anni, le mani ancora insanguinate, viene caricato sull’auto della polizia e portato in questura. Negli uffici di via Antiochia resta per ore, quasi si stupisce delle  tante domande e continua a ripetere di aver sbagliato.

A mezzanotte e mezza varca la soglia del carcere di Sabbione con l’accusa di omicidio volontario aggravato e viene sistemato nella sezione destinata all’accoglienza. Decide di chiudere con la vita prima che il giudice possa interrogarlo. 

Negli uffici della questura si scava nel passato della coppia albanese arrivata a Terni più di vent’anni fa. L’occhio nero, la paura di lei, le urla che i vicini raccontano di aver sentito tante volte ma nessun intervento delle forze dell’ordine nella casa dove Zenepe, cuoca della pescheria “L’isola che non c’è”, è stata sgozzata dal marito.

Solo una sera che fu aggredita per strada intervennero i carabinieri. Era un anno fa. L’aveva picchiata in via del Rivo, le aveva lanciato via il telefonino e le aveva rotto una spalla.

Video

Nessuno della famiglia se l’era sentita di denunciarlo e portarlo di fronte a un giudice. Nessuno avrebbe immaginato che sarebbe finita nel sangue in un pomeriggio di fine marzo. Avvisaglie che oggi sono uno pugno allo stomaco.


Ultimo aggiornamento: Sabato 1 Aprile 2023, 10:38
© RIPRODUZIONE RISERVATA