Su Facebook scrive: «Mi sono rotta di questo posto di m...a», e viene licenziata. Per la Cassazione è giusto

Su Facebook scrive: «Mi sono rotta di questo posto di m...a», e viene licenziata. Per la Cassazione è giusto

di Simone Pierini
Un post rabbioso su Facebook e ha perso il lavoro. È successo nel 2012 quando un'impiegata di 43 anni, residente a Forlì e invalida civile al 67%, scrisse uno sfogo contro il suo posto di lavoro sui social network provocando la reazione immediata dell'azienda. «Mi sono rotta di questo posto di m...a», il post incriminato, visto dal legale rappresentante dell'azienda, suo 'amico' sul web. 

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La donna cancello quanto scritto e decise di impugnare l'atto al tribunale del Lavoro, ma in primo grado e poi in appello i suoi ricorsi sono stati respinti dai giudici che hanno giudicato scorretto il suo comportamento. E per la Cassazione si è trattato di licenziamento per giusta causa definendo il post come «diffamatorio». La decisione definitiva è arrivata lo scorso 27 aprile. 

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Secondo i magistrati «i social sono uno spazio pubblico, nel quale i contenuti potenzialmente diffamatori possono trovare un vasto eco. È venuto meno, in buona sostanza, il vincolo fiduciario che deve esistere tra azienda e dipendente».

«La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione - ha spiegato la Corte Suprema - per lapotenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone. Scrivere un post sul social realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso per l'idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone con la conseguenza che, come nella specie, lo stesso è offensivo nei riguardi di persone facilmente individuabili».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 31 Maggio 2018, 10:03
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