Stupro di Rimini, il padre dei fratelli marocchini: "Devono pagare. Per loro sognavo futuro da Carabinieri"

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«Sono stato io a dire ai miei figli di costituirsi subito, dopo averli riconosciuti dalle immagini diffuse dal vostro giornale in merito alla vicenda. Inoltre, avevo un brutto presentimento...». Mohammed, 51 anni, residente a Vallefoglia (Pesaro-Urbino), è un saldatore marocchino ed è il padre dei due fratelli, rispettivamente di 17 e 15 anni, che si sono consegnati ai carabinieri ammettendo di aver partecipato allo stupro di Rimini. Intervistato da Il Resto del Carlino, il marocchino racconta gli ultimi giorni vissuti con i figli, ora detenuti in carcere minorile a Bologna.



«Anche io ho avuto i miei guai con la giustizia, qualche furto per cui ho pagato. Sono cose che possono accadere, ma la violenza e lo stupro no, questo è inaccettabile» - spiega Mohammed, sposato e con quattro figli - «Non ho mai fatto mancare nulla ai miei figli, per loro sognavo un futuro da carabinieri o calciatori, ho anche lavorato con Nevio Scala ma poi, per problemi col permesso di soggiorno, fui costretto a tornare in Marocco lasciando per qualche tempo la mia famiglia».

L'amarezza del padre dei due fratelli appartenenti al branco è evidente: «Quando ho capito che erano stati loro, li ho fatti confessare e li ho costretti a costituirsi. Mi hanno detto che, insieme a un congolese e a un nigeriano, avevano bevuto molto quella sera. Sono sicuro che il congolese li abbia istigati facendo loro il lavaggio del cervello: il più piccolo è invalido all'80% e anche per questo era seguito da educatrici e assistenti sociali. Il più grande del gruppo aveva promesso loro soldi se avessero rubato il cellulare, mi sono arrabbiato e ho detto ai miei figli: 'Davvero pensavate di rubare a gente ricca?'».



Mohammed illustra anche la versione fornitagli dai figli: «Era il congolese a violentare la ragazza, loro hanno provato a fermarlo ma invano. Non hanno parlato per una settimana per paura, ma ho detto loro che sono stati fortunati, perché so come funzionano certe cose: e se avessero incontrato il protettore della transessuale?». Intanto, restano l'ansia e l'attesa: «Aspetto che mi chiami il maresciallo, ma se davvero hanno commesso quello di cui sono accusati devono pagare, e caro».
Ultimo aggiornamento: Lunedì 4 Settembre 2017, 13:09
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