Smartworking, liberazione o prigione? Il 60% vuole lavorare a casa, ma i centri storici di molte città stanno morendo

Rivoluzione smart working, liberazione o prigione? Il 60% vuole lavorare a casa, ma i centri storici di molte città stanno morendo

di Valeria Arnaldi
Il suono della sveglia. Il pc che si accende, in quello che ormai è un automatismo, quando ancora si deve fare il caffè. Le prime mail controllate, mentre dalla strada si sentono ancora pochi rumori. Le ultime lette o inviate, a notte fonda, dal letto, prima di dormire. È un’agenda-senza-agenda quella dello smart working, che, un tempo realtà di pochi, con l’emergenza sanitaria è divenuta pratica di molti, anzi moltissimi. Milioni. È una vera rivoluzione. Sociale, di costume, economica.

Perfino “urbana”. Il lockdown ci ha portato a fare i conti pure con il tempo, improvvisamente “nostro”. Fuori dall’azienda, lontani da superiori e colleghi, ci siamo scoperti capi di noi stessi. Non dobbiamo fare chilometri per raggiungere l’ufficio. Dobbiamo svolgere il nostro compito: sta a noi decidere dove, come e quando. I documenti si stilano seduti sul divano, magari davanti alla Tv accesa, con gli occhi sul testo e le orecchie “distratte”, come capitava da adolescenti con i compiti.

La call si fa in cucina: non è difficile oscurare il video, anche se - è bene saperlo - secondo un’indagine condotta da Infojobs fra luglio e agosto 2020, se non si accende la webcam il 45% dei partecipanti pensa che si sia spettinati o in pigiama. La famiglia è di nuovo vicina. Pressoché ogni telefonata, pure professionale, ha un sottofondo di gridolini di bimbi, litigate tra fratelli, richieste di aiuto per i compiti - per il 46%, al primo posto tra gli imprevisti più divertenti da call - sfrigolio di fritto e acqua del bagno - 27,6% - il gatto che passa. O, più banalmente, rumori di frigo aperto e chiuso, birre stappate, stuzzichini veloci.

Ogni cosa è consentita. Il sistema piace. Alle aziende che risparmiano sui costi. E a molti dipendenti. Già a maggio, un’analisi Cgil/ Fondazione Di Vittorio registrava che il 60% dei lavoratori "smart" desiderava proseguire così anche a fine pandemia. Ora la banca Ing - Conto Arancio, per intenderci - primo istituto bancario a farlo in Italia, ha deciso di lasciar scegliere agli impiegati se continuare a lavorare dall’abitazione e il 90% si è detto favorevole. Attenzione, però, se è vero che la casa si fa ufficio, lo è pure che l’ufficio diventa casa  e non ci sono più - o quasi - limiti. Tutto è lavoro. E forse poco o nulla, dall’esterno, lo sembra. Lo smart working pare una “pausa”, perché il luogo comune di chi non lo fa è che «a casa ti riposi». Lavorare nel proprio spazio domestico, però, si può rivelare la concretizzazione di una paura. Si è soli, senza poter scambiare una battuta veloce, fumare una sigaretta insieme, condividere un’occhiata.

Si guarda nell’armadio, con stupore, ai tanti capi, quando bastano jeans e maglietta per stare comodi da mattina a sera. Non si va al bar a pranzo o per “staccare” un momento. Così le serrande dei locali si abbassano. E, a volte, non si rialzano. Le strade sono semivuote. E la preoccupazione ha molto spazio per far correre ansie e pensieri. “Agili” e connessi.

IL PARERE - CARLO MOCHI  presidente forum P.A.: «Favorevole, aumenta la produttività»
Il ricorso allo smart working durante l’emergenza covid-19 è stato forzato e improvviso. Per la gran parte dei nostri dipendenti pubblici è stata un’esperienza positiva, che ha portato - secondo uno studio di Forum PA - in qualche caso addirittura a un aumento di produttività: per 7 lavoratori su 10 è stata assicurata totale continuità al lavoro, per il 41,3% l’efficacia è persino migliorata. Per il 61% dei dipendenti pubblici la nuova cultura di flessibilità e cooperazione prevarrà anche finita l’emergenza.
 

Ma lo smart working ha significato anche una notevole riduzione di sprechi, quantificabili in Italia in 135 milioni di ore di spostamenti in meno nei tre mesi di lockdown, pari a 1 miliardo di km non percorsi, 400 milioni di euro di benzina risparmiati e 127mila tonnellate di CO2 in meno nell’atmosfera, oltre al 30% di costi in meno a carico della PA tra consumi energetici, gestione delle mense e pulizie dei locali.
Se si riuscirà a avere almeno il 40% di dipendenti in smart working per 2-3 giorni alla settimana, si potrebbero risparmiare ogni anno 128 milioni di ore di spostamenti, 121mila tonnellate di CO2 nell’atmosfera, 384 milioni di euro di carburante e oltre 1 miliardo di km.

IL PARERE - MARIA LATELLA giornalista e opinionista: «Purché non penalizzi le mamme»
Lavorare da remoto si o no? Io dico: dipende. Si se hai una casa abbastanza grande o se vivi da solo. No, se queste condizioni non ci sono. Si se per andare in ufficio impieghi un’ora e vari mezzi pubblici. No se l’ufficio è vicino casa. Per le aziwnde Smart working significa anche grandi risparmi (in certi casi per centinaia di miliardi, visto che molti affitti si disdicono), per le imprese piccole e piccolissime significa trovarsi tra l’incudine e il martello. L’incudine: far lavorare da casa dipendenti che spesso lo farebbero meglio in ufficio. Il martello: i costi astronomici che comporta sanificare più volte gli ambienti. 



Quanto alle mamme che lavorano, anche qui dipende. No se lo Smart working scarica il peso del menage domestico sulle donne. Che ancora una volta dovrebbero farsi una e trina; la prima partecipa alla riunione di lavoro, la seconda guarda i compiti dei figli e la terza pensa a cosa portare a tavola per cena. Smart working si, ma a turno e per tutti e due i componenti della coppia.

IL PARERE - ANDREA RAGONE professore ordinario di Digital Business Politecnico di Milano «Una evoluzione dalla quale non si tornerà indietro»

Nonostante sia stata realizzata in forma di emergenza - in molti casi più come semplice lavoro “da remoto” che vero smart working - l’esperienza di questi mesi ha rappresentato un’opportunità per le organizzazioni e le persone di sperimentare nuovi metodi di lavoro più efficaci e produttivi abilitati dagli strumenti digitali.



Un percorso di sviluppo di una cultura digitale che in condizioni normali avrebbe richiesto anni è stato compiuto in pochi mesi: un fatto di fondamentale importanza nel pieno della quarta rivoluzione industriale abilitata dalle nuove tecnologie. Le persone hanno dovuto imparare a utilizzare strumenti di collaborazione avanzati, a fruire di servizi innovativi, a comunicare, formarsi e relazionarsi efficacemente attraverso canali digitali.
Molti hanno compreso l’importanza di una maggiore autonomia e responsabilizzazione sugli obiettivi, superando i pregiudizi sulla scarsa efficacia e produttività del lavoro da remoto. Ora non si può tornare indietro, è il momento di mettere a frutto questa esperienza, inserendo lo smart working in un’evoluzione dei modelli organizzativi delle imprese basata sulla trasformazione digitale.
 
Ultimo aggiornamento: Giovedì 16 Marzo 2023, 19:05
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