Simone morto a 27 anni, il papà: «L'ultimo dono di mio figlio, sconfiggere la depressione»

Simone morto a 27 anni, il papà: «L'ultimo dono di mio figlio, sconfiggere la depressione»

di Federica Baretti

TREVISO - «La depressione? È come stare nelle sabbie mobili: ci entri e se non hai qualcuno che ti lancia una corda non riesci a venire su, ti inghiottisce». L'immagine che utilizza Ivan Scremin, padre che ha recentemente perso il figlio Simone a causa di quelle sabbie mobili, racchiude tutto il dolore per la perdita di un affetto così importante, ma è anche la spinta per rintracciare un senso. Che non può che essere quello di aiutare altre persone che si sono trovate in quella situazione, onorando uno dei tratti più evidenti del carattere di quel ragazzo che se n'è andato poco prima di compiere 28 anni: la capacità di entrare in empatia con gli altri, la costanza nel rendersi disponibile con le persone. I familiari di Simone, i genitori Ivan e Nelli, il fratello 23enne Manuel e la zia Giovanna, assieme agli amici più stretti del ragazzo, hanno deciso di lanciare quella corda verso gli altri. Fra qualche giorno daranno forma giuridica all'associazione Il filo di Simo, nome liberamente ispirato al mito greco di Arianna e Teseo. 
 

IN CAMPO

Per i genitori e gli amici di Simo, il filo servirà a sconfiggere il mostro della depressione e ad uscire dal labirinto del male oscuro. «Purtroppo - spiega il padre - abbiamo conosciuto l'inizio e la fine di questa malattia e ci siamo resi conto che c'è ancora una scarsa conoscenza della depressione, che ancora molte persone provano vergogna per quello che sentono e vivono, hanno paura ad aprirsi, sono disorientate, non sanno con chi parlare e a chi rivolgersi, così come sono diffidenti nei confronti di psicologi e terapeuti e non si affidano agli specialisti perché c'è ancora il timore di essere considerati pazzi'. Le famiglie si sentono sole e rischiano di commettere degli errori. Noi vorremmo mettere la nostra esperienza a disposizione degli altri, sperando di poter aiutare qualcuno ad affrontare correttamente la malattia, rivolgendosi ad esempio agli specialisti». «D'altronde - prosegue il papà di Simone - se ci si rompe una gamba ci si affida all'ortopedico, e se si ha un problema emotivo o mentale si dovrebbe andare da uno psicologo, che è un professionista e sa come affrontare il disagio. Purtroppo c'è ancora tanta vergogna». 
 

L'AIUTO

L'idea di creare un'associazione in memoria di Simone è nata nei giorni successivi alla tragedia. «In tanti ci hanno contattato - racconta Scremin -, sia amici che conoscenti, e ci siamo resi conto parlando con le persone che quasi uno su cinque aveva problemi simili in famiglia o nella rete amicale. A quel punto ho capito che potevamo fare qualcosa e dare un senso a ciò che stavamo vivendo». Il primo obiettivo del Filo di Simo è quello di aiutare le famiglie, dare sostegno alle persone malate e ai loro familiari. Per questo sarà aperto a Treviso uno sportello, a cui le persone si potranno rivolgere, anche in forma anonima, per parlare e chiedere aiuto. Lo sportello sarà gestito da una rete di volontari e professionisti, psicologi e terapeuti che si stanno già rendendo disponibili a sostenere il progetto della famiglia Scremin. «Vogliamo che la struttura sia solida - sottolinea il padre di Simone -: quando si potrà, organizzeremo degli eventi per raccogliere fondi da destinare ad altri che lottano con altre gravi problematiche sociali, come sicuramente mio figlio avrebbe desiderato. Questo è un periodo difficile per i giovani, sono sfortunati, ma sono convinto che la gioventù oggi abbia una grande potenzialità: i ragazzi devono ritrovare coraggio per affrontare la loro vita». 
Un altro messaggio di forza e speranza che si aggiunge al principale insegnamento che Scremin vorrebbe far arrivare a chi combatte contro la depressione che gli ha portato via il suo Simone, «che come il sole donava energia e vita». «È importante che chi soffre di questa patologia, così come chi sta accanto a queste persone, non si fermi al primo ostacolo: se ci si affida a persone e professionisti che possono davvero aiutare, se ne può uscire. Ma soprattutto, la depressione è una malattia come tutte le altre e come tale va affrontata, senza alcuna vergogna».

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Ultimo aggiornamento: Giovedì 25 Marzo 2021, 10:45
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