La piovra della ‘ndrangheta nella Capitale: la conferma arriva dalle sentenze. E ora si riaprono i "cold case"

La piovra della ‘ndrangheta nella Capitale: la conferma arriva dalle sentenze. E ora si riaprono i "cold case"

di Emilio Orlando
Due recenti sentenze scuotono il Lazio. Dopo quella di Mafia Capitale, anche i giudici di Velletri riconoscono lo stampo mafioso nella sentenza del Processo Mysothis, giudicando colpevoli undici dei tredici imputati. 

Omicidi, regolamenti di conti, e delitti irrisolti tra i segreti delle n’drine trapiantate nel Lazio. Le rivelazioni del pentito Daniele Cretarola hanno fornito agli inquirenti importanti spunti investigativi con cui si possono rileggere i moventi di diverse omicidi, probabilmente di stampo mafioso, rimasti senza colpevole.

Per gli undici condannati, è scattata anche l’associazione per delinquere di stampo mafioso, con pene che vanno dai ventiquattro ai due anni di carcere, nei confronti di appartenenti alla cosca n’dranghetista dei Gallace-Novella, clan malavitoso originario della Calabria e ramificato da anni nella capitale e lungo il litorale di Anzio e Nettuno, con propaggini estese anche nei quartieri periferici di Giardinetti ,Tor Bella Monaca e San Basilio.

Queste sentenze riaprono fatti di sangue avvenuti a Roma e rimasti impuniti. Nuovi scenari d’indagine si sono riaperti su alcuni “cold case”. Per la seconda volta i giudici dei tribunali romani hanno accolto gli l’impianti accusatori dei pubblici ministeri della direzione nazionale antimafia e nel caso delle recenti condanne quello illustrato dal magistrato antimafia Francesco Polino relativamente al secondo filone dell’ inchiesta “Mythos” che nel 2013 vide condannati gli imputati per complessivi centonovanta anni di carcere.

Sentenza per altro confermata nello scorso mese di giugno dalla corte d’ appello capitolina. Due sentenze che forniscono una fotografia precisa di come la mafia calabrese sia riuscita a colonizzare alcune zone del Lazio ed i quartieri romani, attraverso l’investimento di denaro sporco in settori strategici per l’economia. Secondo il collaboratore e pentito Daniele Cretarola, affiliato al clan Pizzata rivale dei gruppi dello Ionio Reggino, rientranti nella cosiddetta faida Di San Luca, una delle più sanguinarie di Gioia Tauro, i mandanti dell’esecuzione di Vincenzo Femia, boss indiscusso del narcotraffico tra la Calabria e Montespaccato freddato a Roma il 24 gennaio del 2013 in via della Castelluccia all’Ardeatino rientrano in quest’ ambito. Il pentito, durante l’ audizione protetta, racconta anche la genesi della criminalità organizzata di Gioia Tauro nella capitale.

Secondo il racconto di Cretarona, un primo importante accordo tra la malavita romana e quella del sud avvenne negli anni settanta durante un pranzo al ristorante “Il Fungo" dell’ Eur. Riunione a cui partecipò Gianfranco Urbani detto  "er pantera” affiliato alla banda della Magliana, che iniziò a tessere accordi con dei veri e propri accordi” commerciali” illeciti che riguardavano traffico di ingenti quantità di droga, eroina e cocaina, reinvestimento dei proventi derivanti dalle bische clandestine.

Un ruolo fondamentale, emerso dopo le indagini della direzione nazionale antimafia, che hanno portato alle condanne emesse dal tribunale di Velletri, lo ha giocato l’infiltrazione delle cosche Gallace-Novella di Guardiagrele, Santa Caterina allo Ionio Badolato sul litorale di Anzio e Nettuno.

Inoltre, il verdetto dei giorni scorsi si unisce a quello dei magistrati del tribunale di Latina che ha condannato i reggenti delle cosche che avevano “conquistato” il mercato ortofrutticolo di Fondi. Il quadro allarmante emerge anche nei regolamenti di conti che si sono verificati nella capitale negli ultimi anni. Il sequestro “ lampo” avvenuto il 27 novembre del 2013 nel quartiere Africano, dove venne rapito uno dei fratelli del boss del clan Coluccio di Gioiosa Jonica per intimidirli circa gli errati investimenti che avevano fatto con capitali illeciti.

Gli altri omicidi n’drangheta, commessi da cellule mafiose calabresi nella Capitale sono quello di Angelo Di Masi, originario di Mileto la cui esecuzione avvenne al Prenestino dentro una sala slot in via Fumaroli. Il sicario lo freddò con undici colpi di rivoltella di cui due in pieno viso. Un anno prima, un meccanico di 43 anni, Teodoro Battaglia, originario di Satriano nella provincia di Catanzaro venne gambizzato in via di Rocca Cencia alla Borghesiana.

In quegli anni, un altro misterioso omicidio è rimasto senza colpevole. Quello del fotografo dei vip, Daniele Lo Presti, originario di Palmi. Il paparazzo venne assassinato alla fine di febbraio del 2013, con un colpo d’ arma da fuoco alla testa, mentre faceva jogging sulla pista ciclabile che costeggia il Tevere all’ altezza di Ponte Testaccio. Il professionista, estraneo comunque ad ambienti malavitosi, potrebbe essere finito nel mirino dei clan della n’ drangheta operanti nella capitale, per cause ancora da decifrare, come pure l’ esecuzione di Claudio D’ Andria avvenuta nello stesso anno a Tor Sapienza in via Giorgio Morandi. Dalle rivelazioni di qualche pentito gli investigatori potrebbero arrivare alla chiave di volta per risolvere questi casi.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 17 Settembre 2018, 17:15
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